L’Unione Europea e la sua crisi di crescita

di Giovanni Caruselli

Da ormai due anni è frequente sentire discorsi umanitari in cui si deplora la guerra in Ucraina e si invoca la pace a tutti i costi. Come se pace e guerra fossero due opzioni equivalenti fra le quali scegliere. Purtroppo non è così. Per concludere una guerra serve il consenso contrattato e condiviso da parte di due o più contendenti. Per iniziare e portare avanti una guerra è “sufficiente” la volontà di un dittatore o di un governo, indipendentemente dalla volontà della controparte. In altre parole, paradossalmente fare la guerra e molto più facile che stipulare un trattato di pace. Per questa ragione le guerre sono come il rumore di fondo della storia. È chiaro che ci riferiamo alla guerra in Ucraina, voluta e gestita da Vladimir Putin per una congerie di motivi che non trattiamo in questa sede.
La guerra rischia di coinvolgere l’”Occidente globale”, come lo si definisce al Cremlino, ma soprattutto l’Europa dell’est, con la quale sembra che l’ex Urss abbia ancora dei conti aperti. I governi del Vecchio continente non hanno alcuna intenzione di combattere un’altra guerra e quindi spesso l’opinione pubblica accusa i decisori di non essere capaci di porre fine al conflitto. Fingendo di non constatare l’evidenza, e cioè che lo “zar” Vladimir non solo non vuole la pace, ma minaccia costantemente di espandere la guerra ai Paesi dell’est che si sono liberati negli anni Novanta dal bolscevismo. Senza escludere l’uso delle armi atomiche, sapendo che solo facendovi cenno si amplifica la paura delle popolazioni civili.
Stando così le cose, la logica e il buon senso porterebbero a pensare che bisogna unirsi per fronteggiare il terribile conflitto che potrebbe abbattersi sull’Europa. Quindi accelerare al massimo l’unificazione finanziaria, istituzionale, burocratica e militare della Ue, rendere più veloci le procedure decisionali mettendo da parte il principio dell’unanimità e altro. Dovrebbe essere chiaro che solo gli Stati Uniti (veramente uniti) d’Europa potrebbero reggere una prova del genere. Non dipende da una fulminante intuizione capire che 27 Stati coalizzati saranno più forti di qualcuno di essi che viene investito da un evento bellico. E, ammesso anche che l’Occidente globale e la Nato abbiano delle responsabilità sulla situazione che si è determinata, ormai non si possono ridisegnare i confini dei Paesi europei come fecero Churchill e Stalin a Yalta, per il fatto che l’Urss ha perso la Guerra fredda e ne ha pagato le conseguenze. Invece, a pochi giorni dalle elezioni europee, c’è chi chiede “meno Europa”, e al tempo stesso paradossalmente si presenta alle elezioni europee. La situazione rasenta l’assurdo kafkiano, ma non si tratta di un romanzo, purtroppo.
Il 20 gennaio del 1961 J.F. Kennedy, durante il suo discorso di insediamento a Washington, disse che “Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese”. Probabilmente cittadini e politici europei dovrebbero riflettere su questo ammonimento. È inutile chiedere all’Unione Europea ciò che non può fare a causa della sua debolezza, frammentazione e irrisolutezza. Bisogna darle forza con il contributo personale e con l’intento preciso di rinunciare a quote di sovranità nazionale, per creare una sovranità europea capace di difendersi e di andare orgogliosa delle conquiste civili che, pur con gli inevitabili alti e bassi della sua storia, le permettono di operare per il progresso sociale e civile del mondo.