Ma a Natale esisterà ancora la Russia?

di Ciro Maddaloni *

L’implosione della Federazione Russa non è più un argomento di discussione da libro di fantapolitica. È un evento già in atto: è cominciato in marzo e adesso si sta definendo nei suoi contorni e in tutta la sua drammaticità per le modalità di svolgimento.
I magnati russi, quelli che si sono arricchiti in modo spudorato ai danni del popolo russo, hanno mal sopportato la decisione di Putin di lanciare una guerra in Ucraina perché le ricchezze che loro avevano accumulato in Europa e nel modo sono state messe a rischio dalle sanzioni e dai sequestri che alcuni Stati hanno attuato come contromisure per condannare l’aggressione dell’Ucraina decisa da Putin.
Parliamo di persone senza scrupoli che hanno fatto fortuna con ogni mezzo, violando tutte le regole e passando se necessario anche sul cadavere della propria madre per arrivare ad accumulare quelle ricchezze. Alcuni di essi hanno provato a contestare la decisione di Putin di avviare il conflitto in Ucraina; altri si sono allineati perché erano sicuri, ovvero si illudevano, che la “potenza militare” russa avrebbe portato alla risoluzione di tutta la questione in pochi giorni. Come del resto contava lo stesso Zar Putin. Insomma, speravano in una situazione transitoria e nell’immediato ritorno alla normalità. Ma sappiamo che non è andata così.
Gli oligarchi che hanno manifestato dissenso in pubblico sono stati immediatamente neutralizzati dal regime. Tutti gli altri che invece dissentono in silenzio, ne hanno avuto abbastanza dei fallimenti di una guerra mal preparata e ancor peggio gestita.
Una guerra che ha portato immense distruzioni in Ucraina, ma anche conseguenze durissime per la Russia come la perdita di non meno di 60 mila giovani soldati, la fuga dal Paese di almeno 200 mila persone; le sanzioni internazionali che hanno creato come prevedibile la penuria di beni a cui i russi ricchi si erano abituati da tempo; l’isolamento internazionale e lo scombussolamento generale delle attività produttive che sono state dirottate di punto in bianco sul settore militare, con un effetto domino negativo su tutte le attività economiche del Paese.
Ieri sera lo stesso ambasciatore russo a Roma, Sergej Razov, da ben nove anni in Italia, dinanzi alle incalzanti, schiette e precise domande di Bruno Vespa durante la trasmissione “Porta a Porta”, non ha nascosto il suo imbarazzo per la situazione e ha dato risposte evasive, scontate, inconcludenti. Anche per lui è stato difficile negare l’evidenza del dramma per l’Ucraina e soprattutto il suo Paese.
Adesso in Russia cominciano a scarseggiare gli uomini da inviare al fronte, perché emerge sempre più manifestamente in tutte le regioni della Federazione la difficoltà di arruolare uomini validi e preparati da mandare al fronte per rinforzare le file dei soldati decimate dagli ucraini.
Le notizie sui problemi e le difficoltà incontrate dalle truppe russe in Ucraina cominciano a trapelare non solo sul WEB ma anche sui media tradizionali e all’interno del Paese. Le regioni periferiche, che sono quelle che hanno fornito il maggior numero di soldati, adesso cominciano a contare le perdite. E a ribellarsi. Questo ha rinfocolato vecchi attriti e rancori che sono sempre esistiti tra le regioni periferiche della Federazione Russa e i cittadini privilegiati che vivono a Mosca.
Le varie etnie delle province russe non vedono l’ora di trovare spazio e, se possibile, l’indipendenza da Mosca che si ricorda di loro solo per inviarli a morire al fronte; che sia l’Afghanistan, la Siria o la Cecenia e ora l’Ucraina. Una guerra ad un popolo fratello che essi non capiscono e che si è rivelata, ogni giorno che passa, una azione avventata, malamente organizzata e peggio ancora attuata. Una vera follia. Per giunta inutile e sanguinosa.
Nella Federazione Russa ci sono circa 200 differenti gruppi etnici che si detestano a vicenda. Fino ad ora a morire nelle varie guerre a cui ha partecipato la Russia sono stati mandati i giovani della periferia dell’impero, meglio se quella più lontana. Adesso si è sparsa la voce delle ingenti perdite subite dall’esercito russo e per questo i centri di arruolamento dell’esercito fanno fatica a trovare nuova “carne da cannone”.
Quei pochi uomini che riescono ancora ad arruolare vengono inviati al fronte senza alcuna formazione all’uso delle armi, con dotazioni fatiscenti, con poco cibo e con il freddo che già morde da quelle parti. Certamente, truppe inadeguate a combattere in un contesto difficilissimo, come quello Ucraino.
Per tutte queste ragioni si comincia a intravvedere la possibilità concreta di un cambio di regime a Mosca. Non solo Putin ma tutta la classe dirigente che ha portato il Paese sul baratro vengono messi in discussione in modo sempre più evidente sia dai “falchi”, che contestano il modo in cui è stata condotta la guerra e invocano a gran voce una escalation del conflitto con l’utilizzo delle armi nucleari; sia da coloro che, invece, vorrebbero far cessare questa follia per tentare di rimettere a posto i cocci e cercare di riportare ordine e fare ripartire il Paese. Economicamente sempre più logorato.
I “falchi”, anche se sono molto pericolosi e aggressivi, non hanno grandi possibilità di successo perché sono in pochi e non hanno grande seguito popolare. Nessuno, né da Mosca né dalle regioni periferiche, vuole andare a morire in Ucraina per conquistare il Donbass.
I magnati, che vorrebbero far finire presto la guerra, non hanno avuto grande successo finora perché agiscono nell’ombra e devono essere molto cauti su come si muovono. Ci sono diversi precedenti di cruente morti misteriose di alcuni di loro.
Adesso, però, che gli orrori della guerra sono arrivati in tutte le case e si ha contezza della disfatta subita dai russi al fronte, le cose potrebbero cambiare rapidamente.
Si tratta solo di fare buon uso dei soldi accumulati da questi magnati russi per neutralizzare i pazzi che si sono impossessati del Cremlino.
Nei prossimi giorni vedremo come andrà a finire. Quello che è certo è che deve finire al più presto.

* Esperto di eGovernment internazionale.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.