Madagascar. Tutte le sfide del dopo voto

di Francesco Giappichini

Dopo oltre quattro settimane, la Haute Cour constitutionnelle (Hcc) del Madagascar ha reso noti i risultati definitivi delle elezioni legislative del 29 maggio. E il gruppo di potere che ruota attorno al presidente Andry Rajoelina ha ottenuto sì la maggioranza assoluta, ma non quel plebiscito, quella vague orange (l’onda arancione, dal colore del partito), che alcuni pronosticavano. Vigendo una forma di governo semipresidenziale, si è comunque scongiurata la cohabitation con un governo di diverso colore, e il leader riformista sarà dominus della politica nazionale ancora per un quinquennio. Spetterà solo a lui decidere l’eventuale riavvicinamento con l’Unione europea (Ue), Bruxelles permettendo, con cui i rapporti sono al livello più basso di sempre.
Cominciamo dai numeri del voto, in primis dal dato modesto dell’affluenza. Che è il risultato del disinteresse e della disillusione dei cittadini, in parte convinti che la politica sia incapace di risolvere i problemi economici, in parte certi dell’inamovibilità dell’attuale classe dirigente. Hanno, infatti, partecipato al voto solo cinque milioni e 600mila elettori su una popolazione di trenta, e su 11 milioni e mezzo di iscritti nelle liste elettorali. La coalizione presidenziale Isika rehetra miaraka amin’i Andry Rajoelina (Irmar), in italiano «Tutti noi con Andry Rajoelina», ha ottenuto il 40,3% dei consensi, e 84 seggi sul totale dei 163 dell’Assemblée nationale.
Al secondo posto si colloca l’alleanza di opposizione Firaisankina (Fir), in italiano «Unità» o «Solidarietà». Il risultato di questa formazione può apparire modesto, ma il 14,2% raggiunto, da cui conseguono 22 seggi, è tendenzialmente concentrato nei grandi centri urbani. Ovvero, detto fuori dai denti, nelle aree ove sono meno pervasive le pratiche clientelari. E tuttavia Fir, secondo i cronisti nostrani, non sarebbe altro che un’ammucchiata. Se, infatti, il co-presidente e leader de facto è l’ex capo dello stato conservatore Marc Ravalomanana, l’altro co-presidente è il socialista Siteny Randrianasoloniaiko. E di quest’ultimo, campione di voti a Toliara, presidente dell’African judo union (Aju), e vicepresidente dell’International judo federation (Ijf), hanno in passato trattato varie testate internazionali, per la sua presunta vicinanza alla Russia.
E la sua visibilità è in crescita, dopo le presidenziali di novembre: con il boicottaggio di Ravalomanana, ha ricoperto il ruolo del più credibile sfidante (da sinistra) di Rajoelina. Vanno poi considerati, una sorta di terza forza, i 50 deputati indipendenti: quelli eletti senza appartenere a nessun partito, e che nell’insieme rappresentano il 35,9% dei votanti. Ebbene i giornalisti locali riferiscono che sarebbe già in corso un “mercato delle vacche” in salsa malgascia, e che alcuni parlamentari avrebbero già aderito all’attrattivo gruppo maggioritario che sostiene il capo dello stato. Tralasciamo qui il toto-nomi sul prossimo premier, anticipando solo che i favoriti sono il capo del governo uscente Christian Ntsaye, e la giudice Marie-Michèle Sahondrarimalala, ex ministro dell’Éducation nationale.
Piuttosto è interessante analizzare, in estrema sintesi, le sfide che si presenteranno alla nuova maggioranza. Innanzitutto si cercherà di sfatare il «mystère malgache», e comprendere finalmente perché il Madagascar sia l’unico Paese africano ove il reddito pro capite si è ridotto dall’indipendenza (1960). Nonostante l’assenza di guerre e conflitti etnici, e un «potentiel» costituito da enormi risorse. «Un “potenziale”», come scrive l’analista Catherine Van Offelen sulla rivista “Conflits. Revue de Géopolitique”, «che trasuda da tutta l’isola, dalle sue terre fertili, traboccanti di legni pregiati, nichel, cobalto, zaffiri, oro e vaniglia, dalla sua natura sontuosa, dalla sua fauna e flora, per oltre l’80% endemiche, dai 6.000 km di coste che sembrano una cartolina o dai punti di forza di una popolazione francofona dal sorriso immancabile».
Un tema affrontato anche da un testo di economia del 2017, ormai di culto: “L’énigme et le paradoxe – Économie politique de Madagascar” di Mireille Razafindrakoto, François Roubaud e Jean-Michel Wachsberger. Si cercherà quindi di modernizzare le infrastrutture, in primis le strade, con Route national (Rn) ridotte a mulattiere. E si dovrà definire una volta per tutte il rapporto con Bruxelles. L’attuale Chef de la Délégation de l’Union européenne auprès de la République de Madagascar et de l’Union des Comores, Isabelle Delattre Burger, sarà sostituita in settembre su richiesta del governo malgascio, poiché accusata d’ingerenza negli affari interni.
E già si conosce il diplomatico designato da Bruxelles al suo posto: è il belga Roland Kobia, che sta ricoprendo questa carica in Etiopia, dopo esser stato inviato speciale dell’Unione europea in Afghanistan. In ogni caso l’Ue ha preso atto con fastidio dell’espulsione morbida della capo delegazione, e un diplomatico ha dichiarato: «Ciò significa che ci si aspetta semplicemente che le ambasciate firmino assegni e tengano la bocca chiusa?». Tra l’altro quest’anno non è stata celebrata la Giornata dell’Europa del 9 maggio, come invece avveniva in passato, né alcun rappresentante dell’Ue ha partecipato alla Festa dell’Indipendenza del 26 giugno.
Uno scontro diplomatico che le Autorità malagasy hanno imputato soprattutto alle critiche di Delattre contro la barbara sanzione della castrazione chirurgica (e non chimica) per i pedofili: «Lo stupro è un crimine, ma va combattuto con ogni mezzo degno di questo nome. Non penso che la castrazione chimica o semplicemente la castrazione sia un deterrente per gli stupratori». Tuttavia, secondo alcuni osservatori, la suscettibilità dei locali discenderebbe più che altro dalle accuse per la pessima gestione dei fondi europei destinati al Fonds routier de Madagasikara (Fr), e l’argomento della castrazione sarebbe stato tirato in ballo solo per nascondere il vero (e delicato) motivo d’irritazione. «È fantastico costruire strade, ma noi, come partner che hanno contribuito a migliorare la rete, siamo frustrati nel vedere che il fondo per la manutenzione stradale non ha i mezzi per mantenerle. Una strada non dovrebbe durare cinque anni ma quindici. Tutto ciò non stuzzica la voglia dei partner di rimettere sul tavolo centinaia di milioni di euro. Sono soldi sprecati», affermò pubblicamente in febbraio l’ambasciatore dell’Ue ad Antananarivo. Una tesi che pare avvalorata dai futuri e ingenti aiuti economici dall’estero; per la cui gestione le «élite prédatrice» pretendono mano libera, e mal tollerano gli occhi vigili della comunità internazionale. Non solo per illeciti arricchimenti tout court, ma anche per oliare il sistema, e mantenere una base di consenso. E si può supporre che lo stanziamento monstre di quattro miliardi e 130 milioni di dollari per 26 progetti, promesso in febbraio dalla Banca mondiale a margine del vertice dell’Unione africana (Ua) ad Addis Abeba, farà assai gola ai potentati locali.