Mali. La riorganizzazione della missione Barkhane dopo la morte dei soldati francesi

di Alberto Galvi

In seguito alla morte per un incidente fra elicotteri dei 13 soldati francesi durante un’operazione notturna contro gruppi armati jihadisti nel sud del Mali, la politica francese si interroga sul ripensare o meno alla missione nel Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad e Mauritania) nell’ipotesi del ritiro delle truppe. Il presidente Emmanuel Macron ha invece ribadito il suo sostegno incondizionato alla missione.
La perdita dei giorni scorsi è stata la più importante per le truppe francesi impegnate dal 2013 nella lotta contro il terrorismo. All’epoca la minaccia era limitata al nord del Mali con l’operazione Serval, che aveva scacciato i jihadisti dalle principali città settentrionali creando un sostegno popolare per il Mali e la Francia.
L’azione bellica era composta da 1.700 soldati, aerei ed elicotteri ed era stata sostituita nel 2014 dall’operazione Barkhane, con manovre mirate contro i jihadisti nella regione. In quel contesto l’esercito ciadiano e francese avevano condotto operazioni congiunte in Mali, in particolare nel nord del paese.
Con l’operazione Barkhane più di 4.500 militari francesi stanno contrastando le insurrezioni islamiste in tutta la regione, dove negli ultimi anni si è diffusa la violenza dei militanti legati ad al-Qaida, all’Isis ed a altri gruppi di diversa ispirazione. Le truppe transalpine nella zona sono schierate ai confini del Mali, Burkina Faso e Niger.
Le Nazioni Unite con l’operazione MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali), la forza militare composta da 13mila caschi blu delle Nazioni Unite, svolge operazioni a sostegno delle forze militari dei paesi del G5 Sahel.
La Francia ha istituito diverse basi operative nella regione, come la base militare di Madama in Niger, appena a sud del confine libico. Questa base è strategica per contrastare il traffico di droga e di esseri umani e armi su cui gruppi criminali come l’Isis estendono la loro influenza nella zona.
Le forze militari transalpine sono impegnate dal 2014 anche nel nord del Mali dove sono impegnate nella lotta a gruppi terroristi e a gruppi criminali. Altre truppe sono di stanza anche in Burkina Faso dal 2010, e qui supportate da 6 aerei da combattimento, 20 elicotteri e 3 droni.
Questi soldati sul terreno non sono sufficienti per arginare la minaccia del terrorismo. Nell’area i militari stranieri sono percepiti come forze di occupazione. L’obiettivo dell’operazione Barkhane è quello di indebolire i jihadisti per ridurre la loro forza alla portata degli eserciti locali.
Intanto lo scorso novembre i presidenti di Mauritania e Senegal, rispettivamente Mohamed Ould Cheikh El Ghazouani e Macky Sall hanno chiesto un rafforzamento del mandato per le forze che combattono l’avanzata jihadista nel Sahel, incluso quello delle Nazioni Unite schierate nel vicino Mali. Le forze militari senegalesi partecipano all’operazione MINUSMA, mentre le truppe mauritane fanno parte della forza congiunta del G5 Sahel.
Lo stato maggiore transalpino è consapevole che l’operazione Barkhane durerà a lungo in quanto la regione è molto instabile, e la situazione è peggiorata in alcune aree di confine. L’Unione europea dovrebbe intervenire di più a livello diplomatico in quel territorio e sostenere quei politici che vogliono la pace per arginare le forze jihadiste.
A pochi giorni dalla morte dei soldati transalpini, il presidente Macron chiede ai partener europei una nuova coalizione internazionale da inviare nel Sahel oltre la missione di addestramento EUTM (European Union Training Mission) in Mali composta da 620 soldati provenienti da 28 paesi europei i cui principali sono: Germania, Spagna e Belgio, senza però prendere parte ai combattimenti. Pochi paesi sono infatti pronti a impegnarsi sul campo in operazioni di combattimento sotto il comando di Parigi, senza gli Stati Uniti o la NATO.
I partner europei sollevano degli interrogativi sulla strategia di Parigi, in quanto negli ultimi mesi la situazione si è deteriorata sul campo in particolare ai confini del Mali, Burkina Faso e Niger.
In questo territorio non ci sono soltanto i terroristi islamici a provocare morti. Tra le altre cause c’è anche la malnutrizione procurata in parte dalla aridità dei terreni e in parte dal conflitto che non permettono buoni raccolti.
Durante l’anno ben 2,4 milioni di persone in quest’area hanno avuto bisogno di assistenza alimentare. Ricordiamo che il Sahel è un’arida regione dell’Africa occidentale, appena sotto il deserto del Sahara.
Il vero problema dell’inasprimento del conflitto nell’area lo si capisce dai numeri delle forze in campo, in cui 20 mila soldati stranieri non riescono a sconfiggere 3 mila terroristi islamici. I capi di governo saheliani cercano l’aiuto delle potenze occidentali per coadiuvare i propri eserciti a combattere i terroristi dii matrice islamica che cercano di creare nella zona un nuovo califfato.
La popolazione è però stanca del conflitto che giorno dopo giorno diventa sempre più aspro e il sentimento anti francese sta incominciando ad emergere. I leader dell’ECOWAS (Economic community of west African States) hanno promesso 1 miliardo e 805 milioni di dollari nei prossimi 5 anni per combattere i gruppi jihadisti nel territorio. Macron ha anche affermato che dal 2020 verranno inviate ulteriori risorse militari in Mali.
Macron ha invitato i 5 leader del Sahel a Pau, nel sud della Francia il 16 dicembre prossimo per discutere della questione, in quanto le tradizionali forze di mediazione attraverso i capi villaggio o religiosi non riescono più a calmare una situazione che sul campo rischia di diventare incandescente. Gli attacchi terroristici nell’area del G5 Sahel hanno infatti causato 500 morti da giugno a settembre di quest’anno.