di Giuseppe Gagliano –
Tre petroliere colpite da esplosioni in un solo mese, in tre punti diversi del Mediterraneo. Nessuna rivendicazione, nessuna prova certa, solo sospetti e una serie di coincidenze inquietanti. L’ultima in ordine di tempo è la Seajewel, battente bandiera greca, danneggiata da due esplosioni mentre era ancorata davanti al porto di Savona. Prima ancora la Seacharm era stata colpita al largo di Ceyhan, in Turchia. In precedenza, la Grace Ferrum, battente bandiera liberiana, era stata danneggiata vicino alla Libia.
Tre casi distinti ma con un dato comune: tutte le navi avevano fatto scalo in porti russi. Un dettaglio che trasforma semplici incidenti in una possibile guerra ibrida sul mare, con il petrolio al centro.
Lo scenario si complica ulteriormente se si guarda alla sequenza degli eventi. A dicembre la nave cargo russa Ursa Major è affondata al largo della Spagna dopo un’esplosione nel motore che ha ucciso due membri dell’equipaggio. E più di recente, l’Ucraina ha rivendicato un attacco con droni contro la stazione di pompaggio Kropotkinskaya del Caspian Pipeline Consortium, nel sud della Russia. Non un’infrastruttura qualsiasi: trasporta circa l’1% del greggio mondiale, principalmente kazako, sotto controllo legale internazionale e proprietà soprattutto americana.
L’operazione ucraina, apparentemente mirata e sofisticata, ha subito attirato i sospetti di Mosca. Vladimir Putin ha parlato apertamente di “supporto occidentale” nell’organizzazione dell’attacco. “Colpi di questo tipo sono impossibili senza ricognizione spaziale”, ha dichiarato il presidente russo, attribuendo a Washington e agli alleati la responsabilità indiretta della precisione militare ucraina.
Nel frattempo Bruxelles alza la pressione con il 16mi pacchetto di sanzioni: 73 nuove navi inserite nella lista nera, la maggior parte delle quali petroliere, portando il totale a 152. Sono vietate le transazioni con porti e aeroporti russi coinvolti nell’elusione del price cap sul petrolio. Colpite anche raffinerie, operatori della cosiddetta “flotta ombra” e persino i capitani.
È solo un caso che in questo contesto esplodano navi nel cuore del Mediterraneo? O si tratta di sabotaggi mirati, parte di un conflitto economico e logistico che si combatte sotto traccia, con la sicurezza energetica globale come vittima collaterale?
Le navi non parlano, ma i loro itinerari sì. E i silenzi ufficiali, soprattutto quelli europei, sono forse più eloquenti delle esplosioni stesse.