Mezzo pianeta senza protezione sociale. Lo denuncia l’Ilo

di C. Alessandro Mauceri

Le teorie neoliberiste basate sulla “selezione naturale” sociale sbandierate dal presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump e da molti dei suoi colleghi europei (per la maggior parte più interessati a fornire vantaggi economici alle multinazionali che servizi sociali ai proprio concittadini) sono un fallimento. A dimostrarlo sono due rapproti presentati nei giorni scorsi.
Il primo, dal titolo “World Social Protection Report 2017–19, Universal social protection to achieve the Sustainable Development Goals”, è stato presentato dall’ILO e fornisce una panoramica globale sullo stato dell’arte basato su nuovi dati e offre tantissimi dati sulla copertura di protezione sociale, benefici e spesa pubblica per la “protezione sociale” a livello globale, regionale e paese.
Un’analisi dettagliata che inizia con i bambini, per poi passare alle donne e agli uomini in età lavorativa (attraverso aspetti come i servizi assistenziali durante la gravidanza e poi in maternità, la disoccupazione, gli infortuni sul lavoro e la disabilità) e per finire al tema “anzianità” compresa la (spinosa) questione delle pensioni.
Un lavoro enciclopedico che affronta decine di problematiche sociali in tutti i continenti e dal quale emergono dati sorprendenti (specie per chi aveva creduto nelle teorie di Trump e nelle promesse dei capi di governo europei). Da diversi decenni ormai su tutti i media si sente ripetere che “la protezione sociale a livello universale è essenziale per realizzare il diritto alla sicurezza sociale per tutti, promuovere giustizia sociale e promuovere una crescita inclusiva e accelerare i progressi verso la realizzazione dell’Agenda di 2030”. Invece, i numeri dicono che, oggi, nel 2017, meno della metà (il 45 per cento) della popolazione mondiale è coperto almeno da un beneficio sociale. Il restante 55 per cento, quattro miliardi di persone, non è protetta affatto. Solo il 29 per cento della popolazione mondiale gode di una completa copertura sociale. Il restante 71 per cento, è solo parzialmente protetta o non lo è affatto. E se è vero che negli ultimi anni la situazione è migliorata rispetto al periodo precedente (era il 27 per cento nel 2014/2015), è altrettanto vero che oltre 5,2 miliardi di persone, nel mondo non sono assistiti come dovrebbero.
Gli effetti sono inevitabili: “La mancanza di protezione sociale lascia persone vulnerabili a malattie, povertà, disuguaglianza ed esclusione sociale in tutto il ciclo di vita. Negare questo diritto umano a 4 miliardi di persone nel mondo è un grave ostacolo allo sviluppo economico e sociale”. “Sono ancora necessari grandi sforzi per garantire che il diritto alla protezione sociale diventi una realtà per tutti”, ha detto il direttore generale dell’ILO, Guy Ryder.

Il rapporto è un susseguirsi di numeri spaventosi.
Nel mondo, solo il 35 per cento dei bambini gode di un accesso effettivo alla protezione dal punto di vista sociale. Quasi due terzi di tutti i bambini (1,3 miliardi) che non ricevono questi servizi vivono in Africa e in Asia. Un dato che non dovrebbe sorprendere: in media, solo l’1,1 per cento del PIL nazionale viene destinato ai benefici del bambino e della famiglia per bambini. Torna in mente l’esortazione (quasi un ordine) del presidente americano Donald Trump quando nei mesi scorsi ha ricordato ai paesi della NATO (un accordo che, secondo molti, oggi, non ha più motivo di esistere) l’obbligo di destinare il 2 per cento del PIL di ciascun paese al Patto Atlantico. Il doppio di quello che, mediamente, viene destinato ai servizi per i bambini!
Anche il tanto osannato e sbandierato diritto alla salute si rivela essere una chimera: in molte parti del mondo, soprattutto nelle zone rurali, il 56 per cento della popolazione è privo di copertura sanitaria. Ma anche nelle aree urbane questa non sempre è presente: in un quinto (22 per cento) delle città non c’è. Un problema che finisce per influire sulla salute di non meno di 10 milioni di bambini.
Passando ai problemi dei soggetti con gravi disabilità, solo il 27,8 per cento di loro, mediamente, riceverà servizi e una pensione d’invalidità. Per gli altri non c’è nulla. I dati mettono in evidenza enormi differenze tra le varie aree del pianeta. Mentre nell’Europa dell’Est a ricevere assistenza sono quasi il 100 per cento dei soggetti, in molti paesi dell’Asia e del Pacifico questa percentuale scende a meno del 10 per cento.
Con l’aumentare dell’età, la situazione non cambia. Soltanto il 41,1 per cento delle madri con neonati ricevono un’indennità di maternità e 83 milioni nuove madri ne sono totalmente prive.
A oltre metà del cammino previsto per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio (nati nel 2000 e poi diventati, nel settembre 2015 – quando ci si rese conto che non sarebbero stati mai raggiunti –, Obiettivi di sviluppo sostenibile, OSS), oggi non si può non riconoscere che molti traguardi appaiono irraggiungibili e che le politiche adottate non stanno dando i frutti sperati. In molti paesi dell’Africa, dell’Asia e dei paesi arabi sarà impossibile mettere in atto un piano di protezione sociale almeno di base per la maggioranza della popolazione.
Al contrario è evidente la necessità di contribuire “alla protezione sociale universale all’eradicazione della povertà, alla riduzione delle ineguaglianze, alla promozione della crescita economica e della giustizia sociale, così come alla realizzazione degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile”. Come ha detto Isabel Ortiz, direttrice del dipartimento protezione sociale dell’ILO: “Le politiche di austerità a breve termine continuano a vanificare gli sforzi per lo sviluppo a lungo termine. Gli aggiustamenti di risanamento del bilancio hanno degli impatti sociali negativi considerevoli e compromettono la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile”. E ancora, “I governi dovrebbero essere proattivi nello sfruttare tutte le opzioni di finanziamento possibili per promuovere gli OSS e lo sviluppo nazionale grazie al lavoro e alla protezione sociale”.
Tornano in mente i dati dell’ultimo rapporto Istat sulla povertà che, a fronte dei miglioramenti sbandierati da tutti i leader di partito, parlano di una povertà crescente e di 8 milioni di famiglie che non sanno come arrivare alla fine del mese. E se in Italia alcuni di questi problemi, come quello delle pensioni, sono oggetto di discussione quotidiana, a livello globale la situazione non è migliore. Nel mondo, un terzo delle persone al di sopra dell’età pensionabile (variabile) non riceve una pensione. E tra i lavoratori attivi (età 15-64 anni) meno del 35 per cento è un contribuente “attivo”.
Sradicare la povertà, ridurre le disuguaglianze, promuovere la crescita economica e la giustizia sociale sono obiettivi che appaiono sempre più lontani da raggiungere soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Anzi il percorso (già lento) per il raggiungimento dell’Obiettivo potrebbe subire un ulteriore rallentamento. Come sta avvenendo per un altro obiettivo: l’Obiettivo 2 di Sviluppo Sostenibile (Azzerare la fame, realizzare la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile). Anzi, in questo caso la situazione pare stia peggiorando. A dirlo è il direttore della Fao, José Graziano da Silva, che a Roma, nei giorni scorsi ha presentato il rapporto “The State of Food Security and Nutrition in Europe and Central Asia 2017”. È stato lui a lanciare l’allarme riportando i dati sugli affamati nel mondo: un numero spaventoso, 815 milioni, e che sta “segnando un primo aumento dopo più di un decennio di calo”.
Rapporti colmi di numeri e dati tanto da far girare la testa anche al lettore più attento. Numeri che non fanno altro che confermare che le politiche imposte finora non hanno prodotto i risultati attesi: la situazione generale del pianeta è ancora grave e i miglioramenti (specie se considerati in relazione ai sacrifici e alle somme chieste ai contribuenti) non sono così rilevanti anzi in alcuni casi si parla di un netto peggioramento.
Il tutto mentre buona parte della popolazione mondiale mostra una forma preoccupante di apatia non solo nei confronti dei problemi sociali ma soprattutto del modo in cui vengono affrontati i problemi più gravi del pianeta.