Migranti: i salvataggi “politici” delle ong e gli “sbarchi selettivi” di Piantedosi

di Enrico Oliari

Dal punto di vista comunicativo il tema degli sbarchi viene ad essere centrale nel momento in cui ad assumere le redini del governo è la destra, termine quest’ultimo ormai generico (come quello di “sinistra”) e che rischia di perdersi nel populismo vuoto quando non nel celodurismo. Per buttarla sul gaberianese, si è di destra se si contrasta l’immigrazione, si è di sinistra se si tutela la classe lavoratrice. Poi la realtà è ben diversa, in entrambi i casi.
Fatto sta che il contrasto all’immigrazione clandestina non ha funzionato fino ad oggi ne’ può funzionare per una serie di norme nazionali e per i trattati sovranazionali, vedi il braccio di ferro con la Francia per una manciata di richiedenti asilo, e le maglie del sistema sono così larghe, e la confusione così tanta, che manca la possibilità di dare una risposta ferma e strutturata al problema.
Si guardi alle osannate e odiate ong, che in base alla Legge del Mare raccolgono i migranti per portarli al porto sicuro più vicino. Curiosamente le ong hanno definito in passato (come se ne avessero diritto) che i porti tunisini, praticamente attaccati alle zone di salvataggio, non sono sicuri, anche perchè in Tunisia manca una legge per la gestione dei rifugiati.
Sul fatto che i porti tunisini siano sicuri non ci piove, dal momento che ogni giorno vi giungono navi di linea dall’Italia e da altri paesi e le coste tunisine, come Zarzis, rappresentano una meta turistica ambita. La cosa è stata precisata in passato anche da Vincent Cochetel, inviato dell’Alto commissariato onu per i rifugiati nel Mediterrano centrale, il quale ha spiegato che “la Tunisia ha porti sicuri e le persone che sbarcano non vengono spedite in prigione, ne’ rispedite nei paesi di provenienza”.
Il fatto poi che in Tunisia, come affermano le ong, manchi una legislazione per la gestione dei rifugiati non deve essere un elemento che riguarda chi soccorre i migranti in mare: la missione delle ong è quella di portare i naufraghi in sicurezza nel porto più vicino, punto e basta. Spetta poi ad altre organizzazioni, come quelle dell’Onu e quindi dall’Oim all’Unhcr, aiutare la Tunisia a strutturare l’accoglienza.
Il migrante viene così ad essere, anche per le ong, un affare tutto politico, in quanto il problema non è mettere in salvo i migranti in Africa o in Europa, ma portali in Europa.
Così capita di girare per le città tunisine e di incontrare i molti che aspettano di partire, cioè di accordarsi con il trafficante di esseri umani che fa la spola fino alle ong, sempre che le cose vadano bene e non succedano i drammi dei barconi che si ribaltano perchè strapieni di disperati. Si incontrano individui e famiglie che scappano dalle guerre, dalla siccità e dalla povertà, speranzosi di una vita normale e dispostissimi al lavoro e all’integrazione. Ma anche chi punta all’Italia e all’Europa per delinquere un paio d’anni, giusto per accumulare una piccola fortuna e tornare, se tutto va bene, trionfanti in patria dopo averne inquinata un’altra.
In entrambi i casi per i paesi di provenienza l’emigrazione è una manna, per le rimesse: per la Tunisia le rimesse, cioè i soldi che il migrante manda a casa, rappresentano il 5,7% del Pil, per la Somalia addirittura il 40%.
Dal momento che hanno fallito le intese, e i soldi e i mezzi inviati non sono serviti a nulla, verrebbe da pensare che per bloccare le partenze l’unica via sia quella di minacciare la rottura europea delle relazioni commerciali con i paesi di imbarco.
Se l’immigraione può rappresentare nel breve o nel lungo periodo comunque una risorsa per il paese ospitante, certo è che l’Africa, vittima oggi di una nuova forma di colonialismo economico, conta un miliardo di persone, e non tutte possono giungere sulle cose italiane: nessun migrante è disposto a viaggiare per terra e per mare, con i rischi e pericoli annessi, se ha l’opportunità di realizzazione a casa propria. Le guerre motivate dai più disparati motivi, il fenomeno del land grabbing, gli sconvolgimenti climatici e i molti interessi per lo sfruttamento delle risorse sono alla base della disperazione, e se non si comincia da lì non sarà sufficiente il Salvini di turno a fermare gli sbarchi. Di certo il comportamento palesemente politico delle ong non aiuta, ed è quindi corretto l’atteggiamento del ministro Piantedosi, che pensa a “sbarchi selettivi”, se non altro per contrastare l’immigrazione illegale.