Migranti. Salvini convince Seehofer ad aspettare prima di rispedire in Italia i “movimenti secondari’

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I ministri dell’Interno di Austria, Herbert Kickl, Germania, Horst Seehofer, e Italia, Matteo Salvini, si sono incontrati oggi a Innsbruck in anticipo rispetto agli altri colleghi europei per discutere a tre di una proposta comune da presentare a Bruxelles per contrastare il fenomeno dell’immigrazione.
Dal trilaterale, ormai per la stampa il “Patto dei Loden”, è emerso di concreto solo che il ministro italiano è riuscito ad ottenere dal collega tedesco tempo circa l’intenzione della Germania, manifestata più volte dallo stesso Seehofer con tanto di minaccia di una crisi di governo, di rimandare in Italia e Grecia i richiedenti asilo, cosa peraltro stabilita nell’Accordo di Dublino. Si tratta dei “movimenti secondari”, per cui Salvini ha chiesto che si arrivi “Prima i fatti” sulle frontiere esterne.
L’“asse dei volenterosi” messo insieme a Innsbruck è volto a bloccare l’arrivo dei migranti cosiddetti economici e a permettere solo quello di coloro che sono in fuga dalle guerre.
KIckl ha ribadito nel suo intervento conclusivo la necessità che si arrivi ad un intervento “unitario” dell’Unione Europea al fine di evitare “iniziative unilaterali” dei Paesi interessati alle migrazioni, mentre Salvini ha parlato dell’intenzione di “chiedere il sostegno delle autorità libiche”, come pure alle “missioni internazionali di non usare l’Italia come unico punto di arrivo”. “Sarà una soddisfazione – ha aggiunto – se le proposte italiane potranno diventare europee con una riduzione delle partenze, degli sbarchi, dei morti e dei costi. Se il modello italiano diventerà europeo è motivo di orgoglio”.
Per il bavarese Seehofer, che così si è allineato alla posizione italiana, “È importante difendere le frontiere esterne, creare centri di rimpatrio fuori dall’Ue. Speriamo che in questa presidenza, quella austriaca, si facciano passi in avanti. Il 28 giugno l’Ue ha preso decisioni importanti: questa è la base”. In realtà il 28 giugno a Bruxelles si era stabilito qualcosa di diverso, ovvero che i “centri per il rimpatrio” venissero creati nei paesi “su base volontaria”, ma tant’è che è parso a tutti evidente che la cosa non sta in piedi ed ora inizia ad esserci la condivisione dell’idea di centri all’estero.
Essi a dire il vero rappresentano un coltello a doppia lama, perché chi non avrà diritto di partire lo farà comunque lungo i 1.780 chilometri di costa libica, e nel contempo attireranno coloro che avranno diritto alla protezione internazionale e che fino ad oggi non hanno potuto lasciare il loro paese.