Migranti. Troppa confusione, facciamo il punto

di C. Alessandro Mauceri

Ormai non passa più giorno che non si parli di migranti. Ne parlano i politici, le autorità, i social network, le ong e, ovviamente, i media.
Nessuno di questi tuttavia si prende la briga di spiegare alla gente come stanno realmente le cose. È bene quindi, fare un po’ di chiarezza. Innanzitutto, come abbiamo ripetuto decine di volte, quelli che arrivano in Italia attraverso il Mediterraneo non sono né profughi né rifugiati (tranne una ridottissima percentuale). Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi dal Ministero dell’Interno la maggior parte proviene da Nigeria (16.562), Bangladesh (8.728), Guinea (8.726), Costa d’Avorio (8.132), Mali (5.756), Eritrea (5.592), Gambia (5.511), Senegal (5.460), Sudan (4.909) e Marocco (vedi).
Tutti paesi dove la situazione politica ed economica è terribile ma non tale da poter ottenere questo riconoscimento. Non è un caso se come confermano i dati Eurostat, i richiedenti asilo in Italia sono una minima percentuale (e per di più in calo) mentre in altri paesi sono proporzionalmente molti di più (per approfondire la ricerca può trovare i dati su questo sito).
Fatta questa doverosa premessa, resta da capire “chi sono” le centinaia di migliaia di persone che continuano ad entrare in Italia. Un aspetto fondamentale per capire in che modo gestire il problema: se accoglierli a braccia aperte come hanno fatto tutti gli ultimi governi o se, come stanno facendo quasi tutti i gli altri paesi europei, chiudere le frontiere e respingerli (nei giorni scorsi in Spagna è intervenuto l’esercito e in Francia per spostare alcuni migranti indesiderati si è fatto ricorso alla forza). Prima che qualcuno si precipiti a rilevare che in realtà molti paesi hanno accolto migliaia di persone è bene fare chiarezza anche su questo punto: quelli accolti sono profughi o rifugiati, molti dei quali provenienti dalla Siria o dallo Yemen. Anche qui inoltre, è di qualche giorno fa la notizia che paesi finora “ospitali” nei loro confronti, come la Germania, hanno chiesto il rimpatrio nel “primo paese d’ingresso”, in questo caso al Grecia, come previsto (secondo loro, ma non è così) dagli accordi internazionali.
Altri hanno detto che quelli prelevati in mezzo al Mediterraneo sono “naufraghi”. Anche questo è un termine che può creare confusione. Le leggi del diritto marittimo internazionale sono chiare. A cominciare dall’“obbligo” di prestare soccorso previsto dall’articolo 98 della Convenzione di Montego Bay (recepita nel nostro ordinamento giuridico), che stabilisce che ogni stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo.
Questo significa che non si tratterebbe di una “scelta” di una o più ong (come sembrerebbe prevedere il regolamento proposto dal governo italiano): in caso di segnale di soccorso le navi più vicine sono obbligate ad intervenire. Ma non basta. L’articolo 68 dello stesso codice, in tema di soccorso a navi in pericolo ed a naufraghi, prevede che “l’autorità marittima, che abbia notizia di una nave in pericolo ovvero di un naufragio o di altro sinistro, deve immediatamente provvedere al soccorso”.
Gli articoli 489 e 490 del codice della navigazione disciplinano rispettivamente le ipotesi di assistenza e salvataggio, quando la nave in pericolo sia del tutto incapace di manovrare e vi sia una situazione di pericolo per le persone. Qui si apre un altro capitolo di questa faccenda dai molti lati oscuri: in molti casi si è trattato di veri naufragi con i passeggeri finiti in mare, ma in molti altri casi pare non esistesse alcun rischio reale di affondamento, ma solo di un avviso lanciato per attirare le navi delle ong, ed esistono anche dei video diffusi in rete che lo provano.
Ma non finisce qui. Il salvataggio delle persone dovrebbe essere gratuito: una regola che corrisponde a principi umanitari, affermata dal diritto delle genti nelle diverse convenzioni internazionali. Indennità e compenso al soccorritore per il salvataggio, secondo il diritto interno – codice della navigazione – sono previsti solo quando, insieme alle persone, siano state salvate anche le cose (o la stessa barca). Ma allora perché ong e navi di mezza Europa stazionano nel Mediterraneo per correre in soccorso dei “naufraghi”?
E ancora. Il diritto internazionale del mare stabilisce che i naufraghi salvati debbano essere sbarcati “nello scalo successivo”. Scalo successivo significa “approdo più vicino in miglia nautiche” a patto che sia sicuro. Cioè, come hanno fatto notare molti, la Tunisia o Malta. Non la Sicilia o l’Italia.
Fatte tutte queste premesse resta ancora da capire “chi sono” le decine e decine di migliaia di persone che vengono prelevate in mare e sbarcate nei centri di prima accoglienza in Italia.
Ammesso che fossero persone che dichiarano all’atto del contatto con le navi che li prelevano di richiedenti asilo, dovrebbe essere applicata la direttiva 2001/55/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 20 luglio 2001, che indica le “norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi” (vedi).
Questa norma (e qui si ride), nata per far fronte al massiccio afflusso di sfollati proveniente dall’ex Jugoslavia negli anni Novanta, non parla solo di rifugiati e di profughi (inapplicabile nel caso dei migranti): parla di “sfollati” (ovvero “cittadini di paesi terzi o apolidi che hanno dovuto abbandonare il loro paese o regione d’origine o che sono stati evacuati, in particolare in risposta all’appello di organizzazioni internazionali, ed il cui rimpatrio in condizioni sicure e stabili risulta impossibile a causa della situazione nel paese stesso, anche rientranti nell’ambito d’applicazione dell’articolo 1A della convenzione di Ginevra o di altre normative nazionali o internazionali che conferiscono una protezione internazionale”), e di “afflusso massiccio” (l’arrivo nella Comunità di un numero considerevole di sfollati, provenienti da un paese determinato o da una zona geografica determinata, sia che il loro arrivo avvenga spontaneamente o sia agevolato, per esempio mediante un programma di evacuazione”). Non solo, i singoli Stati membri (l’Italia?) “possono ammettere alla protezione temporanea prevista nella presente direttiva ulteriori categorie di sfollati oltre a quelle a cui si applica la decisione del Consiglio”. A queste persone gli stati membri possono rilasciare un permesso temporaneo della durata massima di un anno con il quale “consentono alle persone che godono della protezione temporanea, per un periodo non superiore alla durata di quest’ultima, di esercitare qualsiasi attività di lavoro subordinato o autonomo, nel rispetto della normativa applicabile alla professione, nonché di partecipare ad attività nell’ambito dell’istruzione per adulti, della formazione professionale e delle esperienze pratiche sul posto di lavoro”. Il tenendo presente che “per ragioni legate alle politiche in materie di mercato del lavoro, gli Stati membri possono dare la priorità ai cittadini dell’Ue, a quelli degli Stati vincolati dall’accordo sullo Spazio economico europeo e anche ai cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente e beneficiano di un’indennità di disoccupazione”.
In alter parole, secondo gli accordi comunitari sottoscritti da tutti i paesi dell’Unione, gli “sfollati” che arrivano in Italia potrebbero non solo essere accolti per dodici mesi, ma avrebbero addirittura la diritto a studiare e lavorare (“le persone che godono della protezione temporanea esercitino un’attività di lavoro dipendente o autonomo si tiene conto, nella quantificazione dell’aiuto necessario, della loro capacità di provvedere alle proprie necessità”). Inutile dire che dovrebbe essere fornita loro anche assistenza sanitaria completa, “Gli Stati membri forniscono la necessaria assistenza, in particolare medica, alle persone che godono della protezione temporanea che presentino esigenze particolari, quali i minori non accompagnati e le persone che abbiano subito torture, stupri o altre gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale”.
Tutto questo non solo nel paese di prima accoglienza, ma in tutti i paesi dell’Unione: “Finché dura la protezione temporanea, gli Stati membri cooperano tra loro per il trasferimento della residenza delle persone che godono della protezione temporanea da uno Stato membro all’altro, a condizione che le persone interessate abbiano espresso il loro consenso a tale trasferimento”. Altro che chiudere le frontiere e sospendere il trattato di Schengen! O, ccome ha appena fatto l’Austria, mettere i militari ai confini con l’Italia!
Anche sulla valutazione della richiesta d’asilo poi ci sarebbe qualcosa da dire: “Si applicano i criteri e le procedure per la determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda d’asilo. In particolare, lo Stato membro competente per l’esame della domanda di asilo presentata da una persona che gode della protezione temporanea ai sensi della presente direttiva è lo Stato membro che ha accettato il trasferimento di tale persona nel suo territorio”. Quindi se uno Stato ha accolto quelle persone, deve tenersele e non rimandarle indietro nel paese d’ingresso dell’Unione, come invece deciso dalla Germania per rimandare i rifugiati in Grecia.
Anzi, dato che accogliere un gran numero di persone comporta un costo non indifferente per un solo Stato, “Qualora il numero delle persone ammissibili alla protezione temporanea dopo un afflusso improvviso e massiccio superi la capacità d’accoglienza di cui al paragrafo 1, il Consiglio esamina d’urgenza la situazione e prende i provvedimenti appropriati, compresa la raccomandazione di un ulteriore sostegno allo Stato membro interessato”.
Una norma che hanno firmato e recepito i Paesi dell’Unione tra cui l’Italia (Decreto Legislativo 7 aprile 2003, n. 85 “Attuazione della direttiva 2001/55/CE relativa alla concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati ed alla cooperazione in ambito comunitario”).
La norma parla anche di “Solidarietà” e di “Cooperazione amministrativa” tra i Paesi membri. Una cooperazione e una solidarietà che non sembra esistere né tra i paesi dell’Unione né nei confronti dei paesi africani da cui provengono la maggior parte di quelli che cercano di giungere in Italia passando attraverso il Mediterraneo.
Tutti (compresi i Paesi dell’Unione) sanno perfettamente che il flusso dei migranti non si arresta con i soccorsi in mare né con scritture anomale che vanno contro le leggi internazionali: per farlo è necessario permettere a quello che uno dei territori più ricchi di materie prime del pianeta un’economia sostenibile. Per fare ciò però sono necessari finanziamenti. Come quelli previsti dal Fondo per l’Africa. Rifinanziato da poco ma finora assolutamente inefficace. E soprattutto incapace di rispettare quello che sulla carta dovrebbe essere uno dei principi fondamentali: combattere la povertà. Al Parlamento europeo e alla Commissione Europea nessuno nasconde che ha rilevanza strategica soprattutto sul fenomeno migratorio vista la necessità di affrontare alcune cause fondamentali della migrazione. L’Italia ha appena comunicato di aver stanziato altri 200 milioni di euro. Al contrario, nonostante gli apprezzamenti espressi da quasi tutti i banchi dell’Europarlamento molti altri stati abbiano dimenticato di mettere mano al portafoglio. Tanto che nei giorni scorsi la Commissione europea ha chiesto formalmente di contribuire di più.
L’ennesima conferma che quella europea è un’Unione quanto mai disunita, dove ogni paese fa solo il proprio tornaconto.