Moldavia. Dove l’Ue sostiene l’insostenibile in nome della russofobia

di Dario Rivolta * –

Di vertice in vertice i capi di Stato europei continuano a fingere che l’Unione esista ancora e che quegli incontri servano a decidere qualcosa. Purtroppo, nonostante la crisi economica che tocca il continente, l’unica cosa che siamo riusciti a fare senza che nessun Paese la contestasse è stata la distribuzione sconsiderata di fondi a Stati vicini con l’unico risultato di contribuire alla loro destabilizzazione. Possibilmente in funzione anti-russa.
Dopo aver finanziato, con il forte contributo americano, la pseudo “rivoluzione” ucraina, aver spinto la Georgia in guerra contro Mosca, aver corteggiato lungamente l’Azerbaigian (e chi se ne frega se lì non sanno nemmeno cosa sia la democrazia) per trovare “un’alternativa al gas russo” e aver tentato, senza riuscirvi, di staccare l’Armenia dall’orbita di Mosca, c’e’ un altro Paese che da lungo tempo è sotto le attenzioni “democratiche” occidentali: la Moldavia.
Nel novembre 2016 con voto popolare i moldavi elessero alla presidenza della loro piccola repubblica un candidato dichiaratamente contrario alle decisioni del governo che aveva firmato l’ accordo di associazione con l’Unione Europea. Igor Dodon, un giovane politico socialista di 42 anni, durante tutta la campagna elettorale aveva sostenuto che la Moldavia dovesse rimanere (come prevede la loro Costituzione) uno Stato indipendente e non aderire ad un qualunque blocco, tanto meno all’Ue e alla Nato. Riteneva che tagliare gli storici (ed economicamente molto importanti) rapporti con Mosca fosse stato un errore e la maggioranza dei moldavi gli dette ragione sconfiggendo la candidata filoeuropea sostenuta dal governo
Come tutta risposta, il primo ministro in carica, Pavel Filip, si precipitò a Bruxelles per rassicurare i suoi sponsor che il voto popolare non avrebbe cambiato nulla rispetto alle intenzioni di pilotare la Moldavia verso l’Unione e che la prevista apertura di una rappresentanza Nato a Chisinau sarebbe stata confermata.
In cambio ottenne nuovi fondi in aggiunta a quelli già erogati affinché potesse tacitare con il nostro denaro il diffuso malcontento che aveva spinto grandi fette della popolazione a chiedere nuove elezioni parlamentari. Filip tornò in patria con un accordo di micro finanziamento per 100 milioni di euro di cui 40 a fondo perduto. Aggiunse che gli furono promessi altri 45 milioni per “programmi particolari”. Sembrerebbero cifre insignificanti se non si ricordasse che il Pil totale del Paese è di soli 6,75 miliardi di dollari e che quest’ultimo “dono” corrisponde, da solo, a più del due percento. E’ bene notare che da quando è stato firmato il Trattato di Associazione con l’Ee (giugno 2014), nonostante i denari generosamente versati per aiutare il pilotaggio del sistema verso l’occidente il PIL è calato da 7,98 miliardi a 6,75 (vedi).
Uno dei motivi delle contestazioni contro il governo era stata la decisione politica di scaricare sui cittadini il ripianamento di un buco di ben un miliardo di dollari (più o meno il 15 % del PIL nazionale), sottratto alle casse dello Stato da sconosciuti mai ufficialmente identificati (l’ex Primo Ministro Vlad Filat fu arrestato nel settembre 2015 per corruzione e per connivenza con ignoti nel furto).
La Moldavia, un Paese di soli tre milioni e mezzo di abitanti, è da secoli, e cioè dall’inizio della caduta dell’Impero Ottomano, conteso tra Romania e Russia e vi si parla sia la lingua moldava (il romeno con qualche variante) sia il russo. In Transnistra e nella Regione Autonoma di Gaugazia la maggioranza è di lingua russa e, nelle varie elezioni dall’indipendenza, ha sempre favorito i partiti che si proponevano il mantenimento dei legami con il Paese che ritenevano per storia e cultura a loro più vicino: la Russia. Comunque sia, le ultime elezioni presidenziali hanno confermato in tutto il Paese una maggioranza filorussa che sconfessava il governo in carica e il presidente appena eletto ha subito chiesto un referendum con quattro punti giudicati molto sensibili dalla popolazione: la possibilità per il presidente di sciogliere il Parlamento, la riduzione del numero dei parlamentari, la volontà che fossero i ladri e non tutti i cittadini a pagare per il miliardo sparito, e la reintroduzione nelle scuole dello studio della storia di Moldavia (oggi si studia la storia di Romania). Tale referendum avrebbe dovuto aver luogo lo scorso 24 settembre ma, pur essendo stato approvato dal Comitato elettorale, è stato giudicato inammissibile dalla Corte Costituzionale. Qualcuno sostiene che quest’organo agisca sotto l’influenza di un locale oligarca, tale Vladimir Plahotniuc, che, tra l’altro, è leader del Partito Democratico membro della maggioranza e pro-europeo. Anche qui, come in Ucraina, è il potere economico a condizionare la politica, con la differenza che a Kiev sono un certo numero di ricchissimi signori a spartirsi soldi e potere, in Moldavia è uno solo.
Che la decisione della Corte sia stata politica o puramente giuridica non c’è dato sapere, ma quel che è certo è che la gente comune non ha apprezzato. Il giorno in cui si sarebbe dovuta tenere la consultazione,è migliaia di persone sono scese in piazza in tre città per protestare. Il presidente ha chiesto e ottenuto che le manifestazioni non si facessero nella capitale perché, disse, timoroso di incidenti provocati ad arte dal governo allo scopo di dichiarare lo “stato di emergenza” e rinviare quindi le elezioni politiche previste per l’anno a venire. Sembra scontato che l’attuale maggioranza ne uscirebbe sconfitta e qualcuno teme che, in quel caso, si tenti di ripetere a Chisinau quanto già accaduto a Kiev.
Come siamo costretti a costatare, una volta di più i politici europei si trovano a sostenere, anche con i nostri soldi, personaggi politici spesso corrotti e affatto democratici purché anti-russi. Questa storia della fobia contro Mosca che impera a Washington e Bruxelles è oggettivamente fastidiosa ma diventa anche indecente quando si inventa l’alibi, che sappiamo essere oggi impraticabile, di immaginari “allargamenti” dell’Unione. Forse sarebbe il caso di domandarci a chi giova e perché lo si fa.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.