Moldavia. Risolta la crisi istituzionale, l’oligarca Vladimir Plahotniuc

di Dario Rivolta

Il decreto della locale Corte costituzionale che giudicava illegittima la formazione del nuovo governo guidato dalla leader della coalizione ACUM Maia Sandu è stato smentito e ritirato dalla stessa Corte. La maggioranza formata dallo stesso ACUM e dal Partito Socialista Moldavo (con a capo il presidente dello Stato Igor Dodon) è quindi ufficialmente riconosciuta come legittima. Anche il presidente Dodon, destituito dalla Corte il 10 giugno scorso perché si era rifiutato di sciogliere la Camera dei deputati, è ufficialmente rientrato nel pieno delle sue funzioni. L’ex premier Pavel Filip, che aveva indetto nuove elezioni dopo essere stato nominato dalla Corte quale presidente ad interim, si è dimesso il 14 giugno e ha riconosciuto l’autorità del nuovo governo, “con la speranza che ben presto i moldavi possano tornare a dire la propria alle elezioni”.
La svolta è sicuramente stata determinata dalla posizione assunta dalla comunità internazionale che, quasi unanimemente, aveva riconosciuto il governo della Sandu e smentito sia la Corte Costituzionale sia la posizione assunta dallo stesso Pavel Filip. A favore della regolarità democratica del governo voluto dal presidente Dodon si erano espressi gli Stati Uniti, la Russia, alcuni Paesi europei e la Pesc Federica Mogherini. A sostegno di Filip invece sono restati solo la Romania e l’Ucraina.
Tale soluzione segna, seppur forse soltanto in modo temporaneo, la fine del potere dell’oligarca Vladimir Plahotniuc che aveva infiltrato attraverso il suo Partito Democratico una fitta rete di suoi uomini nella magistratura, nei media (possiede tre delle quattro televisioni nazionali e controlla il mercato pubblicitario), e nella politica (suo uomo anche l’ex primo ministro Filip) locali. Anche se la notizia si è saputa solo il 17, sembrerebbe che già dal 14 giugno il ricchissimo Plahotniuc sarebbe fuggito dal Paese recandosi dapprima ad Odessa e da lì in Svizzera. Naturalmente ha giustificato la sua fuga come la necessità di garantire la sicurezza sua e della sua famiglia, ma in realtà teme di poter essere messo sotto accusa per corruzione e malversazioni varie ai danni del denaro pubblico. Con lui sono fuggiti alcuni dei suoi più stretti accoliti quali Ilan Shor, uomo d’affari, deputato e sindaco della città di Orhei, sospettato di complicità nella sparizione di un miliardo di euro dal sistema bancario moldavo nel 2015.
La decisione della Corte che ha annullato la sua propria sentenza di pochi giorni prima si spiega con la paura, molto realistica, che il nuovo governo possa decidere di farne decadere tutti i membri per depurare il sistema dagli infiltrati al soldo di Plahotniuc. Probabilmente il voltafaccia non basterà e la Sandu ha infatti già richiesto loro di dimettersi.
Si tratta ora di aspettare per vedere come la coalizione di maggioranza, ufficialmente composta da filo-europei e filo-russi insieme, riuscirà a districarsi tra le pressioni in arrivo da Bruxelles e quelle da Mosca. Dodon, sicuramente in buoni rapporti con Vladimir Putin, sostiene da tempo che la Moldavia debba essere in grado di dialogare contemporaneamente con entrambi e una maggioranza di tale fatta potrebbe cercare di perseguire quella strada. Da osservatori esterni e indipendenti ci auguriamo che sia Washington che Bruxelles pongano fine al tentativo di assorbire quel paese nella NATO e nell’Ue, perché una Moldavia neutrale ed equidistante potrebbe costituire un virtuoso banco di prova per una nuova intesa tra l’occidente e la Russia.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.