Moneta digitale in Cina

di Dario Rivolta * –

La supremazia economica americana e quella militare che gli va di pari passo sono le basi che consentono agli Stati Uniti di essere il Paese che detta legge nel mondo. Nonostante il debito pubblico sia, in termini assoluti, il più grande al mondo e sia ugualmente enorme il debito privato delle famiglie americane, il dollaro continua a essere la valuta di riferimento più importante tra tutte. Dopo la crisi del 2008 e soprattutto ora a causa degli interventi richiesti per porre rimedio ai danni causati dalla pandemia, la Federal Bank ha ridotto a zero il tasso di sconto e ha continuato a stampare dollari senza che ciò causasse inflazione. Quello che per qualunque altra valuta avrebbe significato una drastica caduta del valore rispetto alle altre monete non ha avuto effetti negativi per il dollaro perché la sua domanda internazionale non è mai venuta meno in modo significativo. Tuttora, la maggior parte degli scambi tra Stati e tra privati di vari Paesi è regolata tramite la valuta americana e i prezzi delle principali materie prime sono indicizzati in dollari statunitensi. Anche le compensazioni finanziarie intra-Stati e i bonifici di qualunque genere tra una banca e l’altra passano attraverso il meccanismo detto “Swift” (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) che è, di fatto, monopolizzato da banche a stelle e strisce o da loro corrispondenti. Ogni giorno, attraverso questo meccanismo passano in media 5 bilioni di dollari che possono essere controllati da Washington sia per accertare che il denaro non finanzi i gruppi terroristici, sia per portare allo scoperto transazioni giudicate illegittime perché fatte con Paesi soggetti a sanzioni decise dall’ONU o dagli stessi USA.
Quanto sopra porta al risultato che la maggior parte dei Governi mondiali si affidi proprio al dollaro come valuta primaria da custodire nelle proprie riserve finanziarie. Per la stessa ragione i bond americani possono pagare interessi bassissimi e i cittadini americani possono continuare a spendere e a indebitarsi senza che la loro moneta ne soffra.
Tuttavia qualcosa potrebbe cambiare e forse ha già cominciato a farlo.
Nel 1960 l’economia americana rappresentava il 40% di tutta quella mondiale, oggi è solo al 25%. Gran parte di questo cambiamento è da attribuirsi al sopraggiungere sulla scena del colosso cinese e per il resto all’incremento avuto da Paesi come l’India, il Brasile e il Sudafrica. La globalizzazione ha favorito soprattutto Pechino e la sua ammissione nella World Trade Organization (WTO) ha permesso ai cinesi mettersi alla pari con i protagonisti dell’economia dominanti nel mondo precedentemente. In realtà più che alla pari la Cina gioca in vantaggio poiché, nonostante gli impegni assunti, Pechino è ancora lontana da adempiere a tutti gli obblighi impliciti nel WTO. In particolare: la rinuncia al dumping, la totale liberalizzazione degli investimenti stranieri e la sparizione di limiti non tariffari alle merci provenienti da fuori confine. Senza contare le condizioni, a volte capestro, imposte alle società straniere che voglio aprire nel territorio cinese.
Nessuno può ancora affermare che l’epoca del dollaro sia finita, ma molte nubi si affacciano all’orizzonte.
La prima, già in corso, è la fine del monopolio del sistema SWIFT. Ansiosi di sottrarsi alla totale dipendenza e al controllo degli Stati Uniti, i primi a muoversi per creare un sistema alternativo sono stati i russi. Mosca ha sviluppato un sistema chiamato SPFS (System for Transfer of Financial messages). I cinesi hanno creato un loro proprio meccanismo detto CIPS (Cross-Border Interbank Payment System) e perfino il governatore della Banca Centrale del Regno Unito, Mark Carney, ha sostenuto la necessità di creare una moneta digitale internazionale al fine di “smorzare la prepotente influenza del dollaro americano nei commerci internazionali”. Dal canto suo, per cercare di aggirare le sanzioni “secondarie” americane contro l’Iran, Francia, Germania e Regno Unito (cui si sono poi aggiunti: Belgio, Danimarca, Olanda, Finlandia e Svezia) hanno dato vita a INSTEX (Instrument in Support of Trade Exchanges), teoricamente aperto a tutti gli altri membri della UE e verso cui ha mostrato interesse anche la Russia. Tuttavia, pur essendo stato creato nel gennaio 2019, tale strumento non ha ancora iniziato ad operare e ciò dice qualcosa sul significato politico di questa iniziativa. È evidente che metterlo in azione dovrebbe consentire alle società europee di continuare gli scambi con l’Iran senza dover passare sotto il cappio americano ma è pure ovvio che Washington non gradirebbe. Va notato che l’uso sempre più esteso, aggressivo e spesso unilaterale degli USA in merito all’applicazione di sanzioni (soprattutto se “secondarie”) sta spingendo in molti Paesi la ricerca di alternative al dominio globale finanziario del dollaro e prima o poi anche gli europei potrebbero decidere veramente di farlo. La scelta di Donald Trump di rivendicare l’interesse americano “prima di tutto” non può che obbligare anche gli alleati più stretti a tirarne le conseguenze.
La seconda incognita sul ruolo del dollaro viene dalle monete digitali.
Non si tratta di Bitcoin o pseudo-valute similari. Tutte queste hanno (almeno finora) costituito un pericolo minore per ogni moneta reale poiché si è trattato di realtà deboli, estremamente fluttuanti, vulnerabili ad attacchi cibernetici e senza un qualunque amministratore centrale che ne garantisse il valore. Il vero problema si è reso manifesto all’annuncio di Marc Zuckerberg di voler creare Libra, una moneta che avrebbe potuto contare come utilizzatori sui miliardi di utenti di Facebook e di WhatsApp. Inizialmente l’idea era di basare il suo valore su un paniere di monete (USDollar, Sterlina Inglese, Euro e Yen giapponese), ma la reazione negativa di molti governi e la rinuncia a partecipare di Mastercard, Visa e PayPal ha convinto i promotori a ripiegare sul progetto meno dirompente di legare Libra a singole valute nazionali. A tutt’oggi resta ancora e soltanto un progetto, seppur non definitivamente sepolto.
Chi invece sta andando avanti nella creazione di una nuova moneta digitale è la Cina. Nel 2014, la Banca Popolare Cinese ha ricevuto dal Governo il mandato di sviluppare un’ipotesi di moneta digitale “controllata dallo Stato”. L’intento era di ottenere una totale autonomia finanziaria per Pechino e rafforzare la sua “influenza economica” nel mondo. Questo progetto ha fatto passi da gigante e il suo periodo di prova operativa è in corso in quattro grandi città cinesi. A differenza dei Bitcoin e di Facebook, questa valuta non sarebbe controllata da privati bensì proprio da una Banca Centrale e utilizzerebbe tutti gli strumenti digitali necessari quali blockchain e una piattaforma di pagamento digitale garantiti e sorvegliati dalla Banca stessa. Sarebbe, inoltre, integrata con tutto il sistema bancario cinese e con le banche corrispondenti. La sua espansione sarebbe favorita da web-chain quali Alibaba, Alipay e WeChat e otterrebbe una legittimazione perché garantita dal Governo di Pechino. Poiché già l’ottanta percento degli utilizzatori di smartphone in Cina è abituato a fare pagamenti di qualunque genere attraverso il proprio telefono (nel 2018 il volume dei pagamenti digitali fatti in Cina ha toccato ben 41 bilioni di dollari), non è difficile immaginare la dimensione della sua accoglienza presso i consumatori nazionali. Si ipotizza che la sua applicazione più estesa possa cominciare con l’inizio del prossimo anno. Dal momento in cui la valuta ufficiale cinese è stata accettata come parte del “cestino” di valute del Special Drawing Rigths (SDR) del Fondo Monetario Internazionale, le emissioni della Banca Popolare Cinese hanno acquisito una totale validità internazionale e sono considerate come potenziali monete atte a entrare nelle riserve ufficiali degli Stati. Va aggiunto che l’iniziativa della Nuova Via della Seta e gli investimenti cinesi in molti dei Paesi coinvolti potrà diventare una facile arma di pressione per la Cina per convincere anche altri Stati ad aderire all’utilizzo della nuova moneta digitale. Già oggi sempre più Paesi hanno accordi bilaterali con Pechino per procedere ai reciprochi pagamenti nelle valute nazionali senza dover ricorrere al dollaro e ciò significa che, considerate le bilance commerciali sempre favorevoli a Pechino, è lo Yuan ad essere la valuta più scambiata. Ciò capita soprattutto nei Paesi asiatici, ma anche in Africa sono sempre di più i Governi che accettano gli RMB (lo Yuan è l’unità base dello RMB) come moneta di scambio. Anche in Corea del Sud gli Yuan sono accettati perfino nei bar e nei ristoranti. Dare vita a un RMB digitale non può che aumentare la penetrazione della valuta cinese nelle altre economie mondiali.
È ancora troppo presto per annunciare la fine del dollaro ma, se la politica estera americana dovesse continuare nel vedere solo concorrenti o nemici perfino nei suoi più tradizionali alleati, la tentazione di emanciparsi dal controllo finanziario americano non potrà che avere sempre forza e diffusione maggiori.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.