
di Giuseppe Gagliano –
Si è spento all’età di 88 anni papa Francesco, presso la Casa Santa Marta, dove era stato trasferito dopo il lungo ricovero al Gemelli. A darne l’annuncio è stato il cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, il quale ha reso noto che il decesso è avvenuto alle 7.35.
Quando Jorge Mario Bergoglio, il primo Papa gesuita e sudamericano, salì al soglio di Pietro nel marzo 2013, il mondo lo accolse come un vento di novità. Con il nome di Francesco, evocativo del santo della povertà e della pace, promise una Chiesa “povera per i poveri” e un ritorno alle radici evangeliche. Ma oltre il saio semplice e le scarpe nere consumate, Francesco si è rivelato un attore geopolitico di straordinaria influenza, capace di navigare le tempeste del XXI secolo con una bussola che mescola fede, pragmatismo e un’audacia che spiazza amici e nemici. In un’epoca di guerre, crisi climatiche e polarizzazioni, la geopolitica di Papa Francesco è stata un unicum: un progetto di pace universale che si scontra con le logiche di potere, suscitando ammirazione e critiche in egual misura.
La geopolitica di Francesco nasce dalla sua identità e dalla sua storia. Argentino, figlio di immigrati italiani, cresciuto in una terra segnata da dittature e disuguaglianze, Bergoglio porta con sé una sensibilità per le periferie del mondo, quelle “esistenziali” e geografiche che raramente trovano voce nei summit internazionali. La sua visione è radicata nel Vangelo, ma si traduce in un linguaggio universale che parla tanto ai fedeli quanto ai leader politici. Francesco non è un diplomatico tradizionale, eppure il suo pontificato ha ridefinito il ruolo della Santa Sede come mediatrice globale, in un momento in cui le istituzioni internazionali faticano a contenere il disordine mondiale.
La diplomazia vaticana sotto Francesco si distingue per la sua capacità di agire dove altri falliscono. Nel 2014 il Papa ha svolto un ruolo cruciale nel disgelo tra Stati Uniti e Cuba, facilitando i negoziati segreti che hanno portato alla riapertura delle relazioni diplomatiche dopo decenni di ostilità. Nel 2016 il suo incontro storico con il Patriarca Kirill di Mosca, il primo tra un Papa e un leader ortodosso russo in quasi mille anni, ha aperto un canale di dialogo con una Russia sempre più isolata dall’occidente. Più recentemente, nel 2023, Francesco ha inviato il cardinale Matteo Zuppi come emissario di pace in Ucraina, Cina e Russia, cercando una mediazione nel conflitto ucraino, pur suscitando critiche per il suo rifiuto di allinearsi incondizionatamente con l’Occidente.
La pace è stata il cuore della geopolitica di Francesco, ma il suo approccio non è stato privo di contraddizioni. Il Papa ha ripetutamente denunciato la “terza guerra mondiale a pezzi”, condannando l’industria delle armi e il militarismo che alimentano conflitti in Medio Oriente, Africa e oltre. Nel 2019, durante il viaggio negli Emirati Arabi Uniti, ha firmato il Documento sulla Fratellanza Umana con il Grande Imam di al-Azhar, un gesto storico per promuovere il dialogo interreligioso e contrastare l’estremismo. Eppure la sua insistenza sulla neutralità e sul dialogo con tutti gli attori, inclusi regimi autoritari come Cina e Venezuela, ha sollevato interrogativi sulla coerenza del suo messaggio.
Il caso della Cina è emblematico. Nel 2018 Francesco ha autorizzato un accordo segreto con Pechino per la nomina dei vescovi, un tentativo di sanare lo scisma tra la Chiesa cattolica e quella “patriottica” controllata dal Partito Comunista. L’accordo, rinnovato nel 2020 e 2022, è stato criticato da settori della Chiesa, in particolare dal cardinale Joseph Zen di Hong Kong, che lo considera una resa alle pressioni cinesi. Per Francesco, tuttavia, il dialogo con la Cina è una scommessa a lungo termine: aprire spazi per i cattolici in un paese strategico, anche a costo di compromessi che irritano l’Occidente e i difensori dei diritti umani.
Allo stesso modo, la posizione di Francesco sull’Ucraina ha suscitato polemiche. Pur condannando l’aggressione russa, il Papa ha evitato di nominare esplicitamente Vladimir Putin come responsabile, insistendo sulla necessità di negoziati e sulla “follia” di tutte le guerre. Le sue parole, come l’invito agli ucraini a “non vergognarsi di negoziare” nel 2024, sono state interpretate da alcuni come una mancanza di sostegno a Kiev, mentre altri vi hanno visto un realismo dettato dalla consapevolezza che la guerra non si vincerà solo sul campo di battaglia. La neutralità di Francesco, in questo senso, è stata tanto un punto di forza quanto una fonte di tensione: gli ha permesso di parlare a tutti, ma ha rischiato di alienare chi era alla ricerca una condanna netta.
Se la pace è il pilastro della geopolitica di Francesco, le periferie sono state il suo orizzonte. Il Papa ha fatto dei migranti, dei poveri e della crisi climatica i temi centrali del suo pontificato, sfidando le potenze globali a ripensare le loro priorità. I suoi viaggi apostolici, da Lampedusa nel 2013 a Lesbo nel 2016, fino al confine tra Messico e Stati Uniti nel 2016, sono stati gesti simbolici potenti, che hanno messo il dramma delle migrazioni al centro del dibattito globale. Francesco non si limita a parole di compassione: ha denunciato il “globalismo dell’indifferenza” e le politiche restrittive di Europa e Stati Uniti, guadagnandosi l’ammirazione degli attivisti ma anche l’ostilità dei movimenti populisti.
La crisi climatica è stato un altro fronte su cui Francesco si è speso senza riserve. L’enciclica “Laudato si’” (2015) è stata un manifesto ecologico che ha anticipato il dibattito globale sulla sostenibilità, collegando la distruzione ambientale alle disuguaglianze sociali. Il Papa ha esortato i leader mondiali a prendere misure concrete, ma non ha esitato a criticare l’ipocrisia delle conferenze sul clima, come la COP28 del 2023, dove gli interessi economici hanno prevalso sugli impegni ambientali. La sua voce, in questo senso, è quella di un profeta che parla per i dimenticati, ma che fatica a tradurre il suo messaggio in politiche concrete.
La geopolitica di Francesco non è stata priva di costi. All’interno della Chiesa il Papa ha affrontato critiche da settori conservatori, che lo hanno accusato di diluire la dottrina cattolica in favore di un’agenda “progressista”. Negli Stati Uniti in particolare, prelati come il cardinale Raymond Burke e gruppi cattolici tradizionalisti hanno contestato la sua apertura ai migranti e il dialogo con l’Islam, vedendovi una minaccia all’identità cristiana dell’occidente. Anche in Europa, la sua condanna delle politiche migratorie restrittive ha irritato governi di destra, come quello italiano, che lo accusano di ingenuità.
Sul piano internazionale, la neutralità di Francesco lo ha esposto a critiche bipartisan. In occidente alcuni lo hanno visto come troppo accomodante verso regimi autoritari; in Russia e Cina, la sua insistenza sui diritti umani e la libertà religiosa ha creato attriti. Persino il suo ruolo di mediatore è stato messo in discussione: i negoziati sull’Ucraina, per esempio, non hanno prodotto risultati tangibili, e l’accordo con la Cina è rimasto controverso. Eppure Francesco è sembrato accettare queste tensioni come parte del suo mandato: un pastore che ha parlato al mondo intero, anche a costo di non piacere a nessuno.
La geopolitica di Papa Francesco è stata, in ultima analisi, una geopolitica di confine. Confine tra fede e politica, tra nord e sud del mondo, tra idealismo e realismo. In un’epoca in cui le grandi potenze si chiudono nei loro egoismi e le istituzioni globali perdono credibilità, Francesco si è mosso come un pontefice itinerante, che ha portato il Vangelo nei luoghi del dolore e del conflitto. I suoi gesti, come il viaggio in Iraq nel 2021, tra le rovine di Mosul, o l’incontro con i rifugiati in Sud Sudan nel 2023, sono stati messaggi che hanno trasceso la diplomazia tradizionale, parlando direttamente ai cuori e alle coscienze.
Ma il mondo non è un’omelia, e Francesco lo ha saputo. Le sue parole hanno ispirato, ma non sempre cambiato le logiche di potere. La pace che ha predicato è rimasta un orizzonte lontano, i migranti continuano a morire nel Mediterraneo, e la crisi climatica avanza inarrestabile. Eppure il Papa non si è arreso fino all’ultimo. Con la tenacia di chi ha visto le periferie e la fede di chi crede nell’impossibile, Francesco ha sfidato il caos del mondo, sapendo che il suo ruolo non era quello di vincere, ma di testimoniare. E in un tempo di muri e divisioni, forse è proprio questa la sua più grande rivoluzione.