di Giuseppe Gagliano –
Il sodalizio “senza limiti” tra Vladimir Putin e Xi Jinping scricchiola, e non per colpa dell’occidente. A far tremare i palazzi del potere a Mosca è un rapporto interno del FSB, trapelato al New York Times, che denuncia apertamente le attività di spionaggio condotte dalla Cina in territorio russo. Reclutamento di scienziati, infiltrazioni nell’Artico, guerra informativa in Siberia: il “fratello maggiore” asiatico non sarebbe più un partner strategico, ma un potenziale predatore.
Il documento, verosimilmente redatto tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, mette nero su bianco ciò che in molti, anche in occidente, sospettavano da tempo: la Russia teme la Cina, e non solo come attore economico o diplomazia parallela, ma come nemico in piena regola.
L’unità di controspionaggio del FSB, fino a ieri poco visibile, definisce la Cina una “minaccia prioritaria”, un nemico attivo capace di infiltrarsi nelle istituzioni russe e di condurre una guerra silenziosa per il controllo di risorse e territori strategici. Tra le righe del dossier emerge una frattura interna profonda: da un lato i vertici politici, che promuovono una collaborazione strategica con Pechino in chiave anti-occidentale; dall’altro i servizi di sicurezza, che avvertono il pericolo di una progressiva “vassalizzazione” della Russia.
La strategia cinese appare meticolosa e multiforme: agenti sotto copertura in Siberia e nell’Artico camuffati da geologi o ricercatori universitari, pressione accademica per legittimare pretese territoriali su Vladivostok e sull’Estremo Oriente russo, e tentativi sistematici di arruolamento di personale scientifico e militare russo insoddisfatto o isolato.
Il documento parla di un programma chiamato “Entente-4”, approvato tre giorni prima dell’invasione dell’Ucraina. Un nome beffardo, che gioca sull’apparente “intesa” tra le due potenze autoritarie, ma che nasconde un obiettivo opposto: bloccare l’avanzata cinese all’interno dell’apparato russo.
Secondo gli analisti interpellati dal New York Times, come Andrei Soldatov e Alexander Gabuev, esiste una frattura sempre più netta tra i calcoli geopolitici del Cremlino e le analisi operative del FSB. Mentre Putin crede di poter giocare sul doppio tavolo, stringendo alleanze tattiche senza pagare dazio, i servizi sanno che la Russia è già in posizione di debolezza, economicamente sanzionata, militarmente logorata in Ucraina e sempre più dipendente dalla tecnologia e dal credito cinese.
Uno degli aspetti più inquietanti del dossier riguarda l’uso della storia e dell’archeologia come armi di legittimazione territoriale. Pechino, si legge nel documento, sta sostenendo ricerche per rintracciare presunti “antichi popoli cinesi” in Siberia e nella regione di Vladivostok, con l’obiettivo di costruire una narrazione etno-nazionalista capace di giustificare rivendicazioni future.
Nel 2023 la Cina ha già diffuso una mappa ufficiale che attribuisce nomi storici cinesi a diverse città russe dell’Estremo Oriente. Mosca, in condizioni normali, avrebbe reagito con fermezza. Ma oggi, stretto nella morsa della guerra in Ucraina, il Cremlino si trova senza gli strumenti politici, militari e diplomatici per opporsi alla pressione cinese.
Il FSB individua anche altri due teatri critici: l’Asia Centrale, dove la Cina starebbe scalzando l’influenza russa grazie a una strategia soft power apparentemente “umanitaria”, e l’Artico, dove Pechino si insinua sfruttando la crisi infrastrutturale e i cambiamenti climatici.
Secondo il documento, la Cina è già pronta a sostituire le imprese occidentali abbandonate dopo le sanzioni, come nel caso del progetto Yamal LNG di Novatek. Non si tratta solo di una cooperazione commerciale, ma di un graduale reinsediamento tecnologico e logistico che dà a Pechino accesso diretto alle risorse artiche russe.
Ciò che colpisce, come nota Conflits, non è tanto il contenuto, ben noto agli osservatori più attenti, quanto il fatto che una simile preoccupazione emerga adesso, in modo formale e con ampia diffusione mediatica. Il leak al New York Times potrebbe non essere un semplice incidente: potrebbe rientrare nel quadro della guerra informativa, servire a giustificare un progressivo disimpegno occidentale da Kiev e una ridefinizione dei rapporti strategici con Mosca.
Resta però un fatto: la Russia è oggi in posizione subordinata. E i suoi stessi servizi lo ammettono. Un tempo potenza temuta e autosufficiente, oggi Mosca appare come un’appendice in crisi, logorata dalla guerra, costretta ad affidarsi a un partner che la penetra, la sorveglia e forse la prepara a essere inglobata. Non con i carri armati, ma con i contratti, le mappe, e gli archeologi.