Nagorno Karabakh. Continuano gli scontri. Aliyev, ‘dopo 30 anni di Osce, il conflitto va risolto ora’

L’Armenia non ha trovato fino il sostegno che sperava. La diplomazia al lavoro per il cessate-il-fuoco.

di Enrico Oliari

Il premier armeno Nikol Pashinyan ha affermato in questi giorni che l’Armenia è disposta a “fare delle concessioni” per fermare gli scontri in Nagorno Karabakh, “le stesse che sarà disponibile a fare l’Azerbaijan”, imputando poi al sostegno dei turchi agli azeri il motivo di quella che è ormai una guerra a tutti gli effetti.
Pashinyan ha preso il potere due anni fa proponendosi come uomo del dialogo, ma la realtà è che oggi l’Armenia e la sua tutela del Nagorno Karabakh sono sostenute solo a parole dagli alleati naturali, in particolare dalla Russia, il cui presidente Vladimir Putin si è fino ad oggi prodigato in inviti al cessate-il-fuoco.
Intervistato per il tedesco Bild Pashinyan ha sottolineato i solidi rapporti che legano l’Armenia alla Russia, come pure ha puntualizzato che “In Armenia è dislocata la base militare russa 102”, e che “abbiamo un sistema di difesa aerea unificato. Il trattato su questo sistema definisce molto chiaramente in quali casi le forze armate (russe) possono essere utilizzate anche per la sicurezza dell’Armenia”. Ha quindi aggiunto che “Sono sicuro che la Russia adempirà ai suoi impegni derivanti dagli accordi, se si verificheranno le opportune circostanze”.
In realtà alla Russia interessa avere buoni anche con l’Azerbaijan, ex paese dell’Urss, se non altro per non lasciarlo alla totale mercé della Turchia, membro Nato, come pure al Cremlino non sono piaciuti i continui ammiccamenti del governo di Yerevan con gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Lo stesso vale per altri paesi dell’area come l’Iran, che di certo non ha interesse a schierarsi contro l’Azerbaijan per una questione ritenuta marginale qual è il Nagorno Karabakh, come pure per quel progetto, messo nel cassetto ma mai stracciato, di immettere il proprio gas nel Bte / Tanat / Tap che parte da Baku e che arriva in Puglia. Per il “diritto dell’Azerbaijan a riprendersi le sue terre” e “contro l’occupazione da parte di un paese di un altro paese” si è espresso il consigliere per la Politica estera della Guida suprema Khamanei, l’influente Ali Akbar Velayati.

Nikol Pashinyan.

Nonostante le accuse mosse da Pashinyan e dal francese Emmanuel Macron circa la presenza di jihadisti siriani tra le fila azere, accuse puntualmente respinte da Baku, persino Israele non si è fatto problemi nel vedere per armi e tecnologia per il conflitto in corso all’Azerbaijan, impropriamente definito da diversi media come “paese islamico”.
Dichiaratamente con l’Azerbaijan è schierata la Turchia, ma già nel 2014 il ministro degli Affari europei (oggi agli Esteri) Mevlut Cavusoglu era intervenuto affermando che “Favoriremo sempre una soluzione pacifica ma l’Azerbaigian ha il diritto a riprendersi ciò che gli appartiene”, e che “una soluzione militare è uno “uno dei possibili mezzi a disposizione dell’Azerbaigian per riprendere il controllo del Nagorno-Karabakh”. Appoggiando l’Azerbaijan la Turchia cercherebbe di imporsi nello scacchiere geopolitico dell’Asia centrale, ma va tenuto presente che il gas azero diretto in Europa passa proprio per la Turchia, per cui gli interessi convergono.
Intanto la guerra prosegue nella sua drammaticità, con almeno 350 militari e diversi civili morti, feriti e popolazioni in fuga. Negli ultimi giorni agli scontri di confine, fatti di spari dalle trincee e colpi di artiglieria, si sono aggiunti i missili lanciati da entrambe le parti, in un’escalation che se non fermata potrebbe portare a conseguenze gravissime. Missili armeni di fabbricazione russa sono caduti sulla città azera di Ganja, la seconda per grandezza del paese, mentre la capitale dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh, Stepanakert, è stata bombardata tutta la notte chi cannoni e dai droni azeri. Il bilancio dei danni e delle eventuali vittime non è al momento conosciuto.

(Foto Notizie Geopolitiche / GB).

Se l’Armenia è quindi sostanzialmente sola, con il Canada che al massimo ha annunciato la sospensione della vendita di armi alla Turchia, il presidente azero Ilham Aliyev ha fatto sapere che “la pazienza è finita, non abbiamo tempo d’aspettare altri 30 anni di mediazione dell’Osce: il conflitto va risolto ora”.
L’Azerbaijan ha infatti interesse a venire una volta per tutte a capo del conflitto riprendendo le sette province azere occupate dagli armeni e la regione del Nagorno Karabakh. Baku ha infatti sempre manifestato l’intenzione che la regione ritornasse entro i confini azeri, concedendo al Nagorno Karabakh comunque una solida autonomia amministrativa.
Il conflitto del Nagorno Karabakh, ancora oggi aperto, ha preso il via dopo che nel 1988 la regione si dichiarò indipendente dalla Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaijan e venne occupata dai militari armeni. Nella guerra 1992 – 1994 persero la vita 30mila soldati, e l’occupazione del Nagorno Karabakh e di atre sette province dell’Azerbaijan da parte degli armeni provocò un milione di profughi. Al momento la Repubblica del Nagorno Karabakh non è riconosciuta neppure dall’Armenia, mentre il conflitto è mediato dall’Osce attraverso il Gruppo di Minsk (Armenia, Azerbaijan, Italia, Bielorussia, Germania, Portogallo, Paesi Bassi, Turchia, Svezia e Finlandia).
Ben quattro risoluzioni Onu, peraltro mai rispettate da Erevan, hanno chiesto nel 1993 il ritiro incondizionato dei militari armeni dal Nagorno Karabakh, nella fattispecie la 822, la 853, la 874 e la 884.

Ilham Aliyev.