di Carmine Stabile –
Al vertice di Vilnius dell’11 luglio scorso la Nato ha virato ancora una volta sulla penisola Scandinava. Dopo l’ingresso della Finlandia, ratificato in maniera ufficiale il 4 aprile, ora è stato il turno della Svezia. Il via libera all’adesione è arrivato da Recep Tayyip Erdoğan, il quale ha rallentato per mesi le procedure per i rapporti non proprio idilliaci tra i due paesi, per una serie di temi tra i quali la questione dell’asilo ai curdi del Pkk e il blocco della Svezia alla vendita di armi. La Svezia ha da sempre dato protezione ai membri del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), gruppo considerato di matrice terroristica. Il Kurdistan è un altopiano ubicato in Medio Oriente che si snoda territorialmente su quattro stati: Turchia, Iraq, Siria e Iran.
La Svezia, nei mesi antecedenti all’adesione, ha cercato di costituire una stabilità con la penisola Anatolica. Il nodo della questione si è sciolto, grazie all’adozione da parte della Svezia di una legge che condannasse il terrorismo. Proposta legislativa che in seguito ha portato alla condanna a quattro anni e mezzo di carcere di un uomo curdo, il quale avrebbe cercato di finanziare il PKK.
Grazie all’asse di collaborazione tra Tayyip Erdoğan e Ulf Kristersson (primo ministro svedese), il 10 luglio 2023 è stato raggiunto l’accordo storico per la transizione svedese all’interno dell’Alleanza Atlantica. La conferma dell’ingresso della Svezia all’interno della NATO ha scatenato la reazione di Mosca, la quale ora si trova a dover fronteggiare altri 1340 km di confine NATO.
Il vertice lituano da un lato ha portato ad un allargamento, dall’altro lato ha aperto un dialogo con l’Ucraina. Volodymyr Zelenskyy non si aspettava un’entrata lampo all’interno della NATO, visto che l’ingresso è viziato principalmente da due elementi chiave. Il primo è di carattere bellico: finché il conflitto non finirà, l’Ucraina non sarà integrata all’interno della NATO, visto che l’Alleanza non permette l’ingresso a Paesi coinvolti in guerra; il secondo elemento è correlato ad un fattore economico, dal momento in cui l’Ucraina non è in grado di contribuire al bilancio dell’Alleanza in proporzione alle dimensioni della sua economia.
Zelenskyy oltretutto non dispone di elevati presupposti per negoziare la risoluzione del conflitto, quindi ha bisogno di un sostegno economico e militare da parte della NATO. Difatti i primi aiuti militari sono arrivati dagli USA, che hanno inviato bombe a grappolo (cluster bomb), ritenute molto più affidabili delle bombe a grappolo sovietiche. Tuttavia quest’intervento statunitense non è stato appoggiato dalla politica alleata. Lo scarso appoggio agli USA trova radici nella Convenzione ONU di Oslo 2008, la quale vietò fermamente la produzione, la detenzione, l’uso e il trasferimento di munizioni a grappolo. Sempre la Convenzione impose la distruzione degli stock esistenti.
Il conflitto russofono sta stravolgendo l’equilibrio della pace europea degli ultimi trent’anni. L’unico attore bellico a trarne beneficio è il fronte russo, forte di una co-produzione triangolare diretta con la Corea del Nord e indiretta con la Cina.
Ormai, a pochi giorni dall’entrata della Svezia all’interno della NATO e del dialogo NATO-UCRAINA sempre più intenso, resta alta l’allerta per una possibile ripercussione della Russia sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia.