Navalny continua a caratterizzare i rapporti Mosca – Bruxelles

di Silvia Boltuc * –

Il caso Alexiei Navalny è tornato a caratterizzate i media internazionali e i rapporti tra Mosca e Bruxelles con l’occidente schierato in favore della scarcerazione del blogger russo e il Cremlino sempre più motivato nel difendere il diritto di condurre la politica interna autonomamente e quindi perseguire una persona giudicata una minaccia per la società russa.
Le sanzioni imposte alla Russia non solo non hanno impedito al paese di proseguire la propria politica estera, ma anzi hanno avuto l’effetto di spingere Mosca a stringere relazioni di collaborazione con stati di importanza strategica fondamentale nel continente euroasiatico, alleanze che di certo non giocano a favore dell’occidente.
Le politiche occidentali stanno riproponendo una configurazione del mondo in due blocchi. L’Europa sta ancora cercando una sua dimensione e si muove con posizioni che vacillano fra Russia e Stati Uniti con uno sguardo anche alla Cina.
Ufficialmente le sanzioni nascono dall’intento di salvaguardare i diritti umani. Nei fatti i singoli Stati europei e l’Unione Europea hanno più volte intessuto rapporti con governi o personaggi di spicco della sfera pubblica di paesi in cui si verificano violazioni di gran lunga più gravi. Si pensi ad esempio al giro di affari che lega il Vecchio continente alla Turchia, contro cui non sono state adottate le stesse contromisure in termini di difesa dei diritti umani o, per citare un tema più attuale, lo scandalo dei legami d’interesse fra alcuni paesi europei e l’Azerbaigian recentemente impegnato in un conflitto con l’Armenia a cui solo l’intervento di Mosca è riuscita a porre fine.
É chiaro che dietro le sanzioni c’è un tentativo di coercizione ai danni della politica interna russa. L’occidente non è nuovo a questo tipo di interferenze. Gli Stati Uniti sotto la guida di Biden tentano di riprendere le antiche tradizioni in termini di politica estera che con l’amministrazione Trump avevano allentato la presa su alcune aree della regione euroasiatica. Ovviamente nel XXI secolo la sfida non è più solo egemonica, ma anche e soprattutto energetica e le sanzioni nascondono gli interessi delle varie forze in gioco. La Germania, la cui politica estera è più economica che militare, ha spinto a lungo per la realizzazione dell’infrastruttura Nord Stream 2. Di tutt’altro avviso la Francia, che vede il gasdotto come una minaccia per le aziende nazionali del settore energetico.
Gli Stati Uniti sfruttano il rinnovato spirito atlantista europeo per esercitare la loro influenza sulle politiche di Bruxelles. La domanda che l’Europa dovrebbe porsi è dove finiscono le ambizioni statunitensi e cominciano quelle europei. É davvero auspicabile perseguire la strada dell’antica rivalità fra i due blocchi Stati Uniti-Russia per gli interessi europei? Benché i rapporti non siano sempre stati lineari le relazioni che legano l’Europa e la Russia sono antiche e profonde a partire da Pietro il Grande, che vide nell’Europa un modello a cui ispirarsi per riformare una imponente nazione come quella russa, fino ai giorni nostri dove importanti opere infrastrutturali e scambi commerciali rinnovano ogni giorno questo antico legame. In tal senso è interessante sottolineare che il secondo paese per scambi commerciali con la Russia dopo la Cina è la Germania. Le esportazioni più importanti della Russia sono materie prime come petrolio greggio e gas naturale. La Germania invece esporta principalmente macchinari, veicoli e componenti automobilistici. Inoltre la continuità geografica fra i nostri due continenti comporta un coinvolgimento diverso nelle politiche regionali rispetto agli isolati Stati Uniti.
Si potrebbe portare come esempio della linea politica dell’asse Washington-Bruxelles, che sembra essere all’insegna dei “due pesi due misure”: il volume di affari con la Cina con cui è stato recentemente firmato il Comprehensive Agreement on Investment (CAI), nonostante le più che conclamate violazioni da parte di Pechino a danno degli uiguri, un’etnia turcofona di fede islamica che vive nel nord-ovest della Cina. In questa circostanza sono stati gli interessi economici a rendere sorvolabili le violazioni perpetrate ai danni della minoranza etnica.
Le recenti accuse rivolte al presidente russo secondo cui un dossier della CIA proverebbe l’ingerenza di Mosca nelle elezioni statunitensi sono state una mossa azzardata nella politica del neoeletto presidente Biden. Accuse tanto gravi possono avere pesanti e irreversibili conseguenze nello scacchiere globale e andrebbero comprovate e supportate da innegabili evidenze visto che il resto il mondo non vuole trovarsi di nuovo coinvolto in guerre come il conflitto iracheno. Anche allora infatti vi sarebbero stati dei dossier della CIA che dimostravano inequivocabilmente che il governo di Saddam Hussein era in possesso di armi di distruzione di massa, teoria che si dimostrò negli anni essere infondata.
Nella stessa ottica è chiaro che il caso Navalny è uno specchietto per le allodole che cela interessi di altra natura. Navalny non ha un peso politico tale da potergli valere il titolo di “unico possibile concorrente di Putin”, come spesso viene definito. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno chiuso non uno ma entrambi gli occhi quando Navalny e i suoi alleati politici hanno promosso politiche anti-migratorie, xenofobiche e nazionaliste in favore della sola popolazione russa, e fomentato il mancato rispetto di quei diritti umani tanto cari a Washington e Bruxelles oggigiorno. La stessa Amnesty International ha privato il blogger russo del suo status di “prigioniero di coscienza”, dopo aver ricevuto una pioggia di denunce che riportavano commenti xenofobi espressi in passato da Navalny e mai ritrattati. Le ricerche condotte da Amnesty International (ma poco pubblicizzate dai media) hanno portato alla luce dei video in cui Navalny si scagliava pesantemente contro gli immigrati in Russia definendoli “scarafaggi”, oppure, vestito da dentista, richiedeva la rimozione di tutto ciò che dava fastidio in Russia, ossia gli immigrati, paragonandoli a un dente marcio da estirpare.
Secondo recenti sondaggi condotti da centri studi indipendenti la metà della popolazione russa appoggia la scelta dell’incarcerazione di Navalny ed i consensi attorno al presidente Putin oscillano fra il 60% ed il 70%. Parlare di mancato appoggio o crollo della popolarità del presidente russo appare quindi una forzatura dei media che potrebbe riguardare anche lo stesso Joe Biden, eletto come presidente statunitense con uno scarto minimo nei confronti dell’avversario Donald Trump e con scarso appoggio politico e popolare ancora oggi in diversi stati.
Se osserviamo l’Europa, nella comunità vi sono paesi come l’Italia che vengono continuativamente guidati da personaggi politici che non godono neanche dell’appoggio della maggioranza della popolazione. La crisi pandemica ha in effetti evidenziato maggiormente la scollatura in Europa tra i vari governi e la volontà popolare, basti pensare alle proteste in Olanda, Francia, Germania, Italia a causa delle continue chiusure e le pesanti conseguenze economiche.
Tornando al caso Navalny è essenziale sottolineare altresì che il deterioramento della condizione fisica del detenuto non è imputabile al trattamento riservatogli durante la detenzione, bensì ad una scelta personale di manifestare attraverso il digiuno. Come gli stessi osservatori internazionali hanno evidenziato, il 20 aprile Navalny ha avuto accesso ad una struttura ospedaliera civile più consona alla sua condizione attuale dove ha potuto usufruire della visita di medici civili esterni al penitenziario che gli hanno intimato nel suo stesso interesse di terminare lo sciopero della fame. I test medici condotti sono stati in seguito rigirati ai medici dell’oppositore che stanno valutando la situazione.
A questo punto, con il clamore mediatico astutamente sollevato attorno al caso Navalny, è impensabile che la morte dell’oppositore possa in alcun modo giovare al governo russo in carica. Una sua prematura dipartita, in un’era in cui i social ed i mass media giocano un ruolo inestimabile nel plasmare e indirizzare l’opinione pubblica mondiale, gioverebbe solo all’Occidente che avrebbe una base di legittimazione ancor più vasta per proseguire nelle politiche di contenimento ai danni della Federazione Russa.
Ogni paese persegue politiche in linea con i propri interessi che difficilmente vedono i diritti umani come voce principale. I mercati energetici sono uno dei maggiori terreni di scontro del nostro secolo e ridisegneranno il tessuto di relazioni fra i paesi spostando di fatto gli interessi geopolitici in favore delle risorse energetiche e delle vie di commercio: in questa ottica è possibile vedere come la regione caspica stia divenendo un teatro di scontro tra Federazione Russa e Occidente.
La Russia ha una sua tradizione politica e un suo equilibrio interno che vuole perseguire in totale autonomia come ogni altro paese sovrano. La politica estera statunitense e gli interessi che la muovono sono chiari, ma l’Europa dovrebbe ben guardarsi dall’incrinare irrimediabilmente i rapporti con Mosca. Questa guerra ideologica ha influenzato fortemente la campagna d’acquisto di vaccini perseguita da Bruxelles costringendo paesi come l’Italia a rivolgersi altrove per l’approvvigionamento che ancora oggi stenta ad arrivare quando il vaccino russo, la cui validità è stata comprovata, era pronto per l’acquisto.
Inoltre Mosca è un alleato indispensabile nella gestione del terrorismo con cui l’Europa si trova sempre più a dover fare i conti. L’influenza che Mosca esercita nella regione euroasiatica non può essere ignorata né di contro si può pensare di arginare il suo potere di manovra attraverso l’isolamento. L’unica cosa che cambierà se si tenta di tagliare fuori la Russia dal mercato energetico e dalla rete di collaborazioni con i paesi europei attraverso le sanzioni saranno i paesi con cui la Russia intratterrà i suoi rapporti economici e politici, alcuni dei quali sono rivali storici dell’occidente.
Rimane quindi da chiedersi se questo supporto ostinato a Navalny possa giovare realmente all’Unione Europea oppure se il continuo assoggettamento di Bruxelles alla volontà di Washington non rischi nel tempo di creare una spaccatura con Mosca le cui conseguenze negative saranno ben visibili nell’economia europea e nella sua possibilità di approvvigionamento energetico.

* Silvia Boltuc. Analista specializzata in relazioni internazionali, energia e conflitti nello spazio post-Sovietico, in Medio Oriente e Nord Africa. Attualmente ricopre il ruolo di direttore del programma di ricerca “Eurasian Energy Market” presso ASRIE Analytica ed è responsabile dell’Area Energia e Nuove Tecnologie del CeSEM.