Nel mondo l’Italia è viva

di Uldio Calatonaca

Soprattutto in momenti di alta tensione internazionale come quello attuale seguente l’eliminazione del generale iraniano Qassem Soleimani in terra d’Iraq, firmata US.A (anzi Donald Trump), nei giornali sui media e nei più svariati dibattiti una voce è ricorrente.
Il peso diplomatico dell’Italia, ripete questa voce, è meno che niente nello scenario globale ed è bassissimo anche nell’Unione Europea, la quale a sua volta è bollata di essere priva d’identità e quindi di efficacia internazionale.
Si potrebbe e si dovrebbe entrare nel merito di questo ritornello per capire meglio obiettivi limiti e sostanza della politica estera italiana. Andrebbero esaminate del nostro Stato le alleanze decennali, il suo sistema costituzionale e la posizione estera conseguente la Seconda Guerra, la lunga assenza dalle politiche coloniali, il tipo di governo (parlamentare e non presidenziale o dittatoriale), la sua situazione economica e quella geografica. Si dovrebbe fare ciò per capire meglio ma non è questo l’oggetto della presente riflessione. Adesso prendiamolo comunque per buono il concetto che l’influenza italiana sugli scenari planetari sia scarsa e instabile.
In vero, specie sul piano commerciale ma non solo, nel tempo, varie politiche italiane hanno avuto approcci decisi, insufficienti però a farci sentire un Paese “forte”. Si pensi a Mattei, che provava suoi accordi petroliferi, ad Andreotti, che spingeva l’Italia mediatrice tra Ovest Est e Paesi Arabi, e poi a Craxi, che sapeva farsi sentire, e ancor a Berlusconi, che tesseva nuovi accordi in Russia (anche se l’Italia, unica oltre Cortina, pure in Guerra Fredda aveva rapporti con l’URSS,) fino al 2019 con la firma solitaria sulla Via della Seta.
La (ipotizzata) bassa incisività diplomatica italiana è data soprattutto dal presupposto che in fin dei conti si muove poco e comunque sempre dentro le storiche alleanze: l’Italia è imbrigliata nella NATO, soggiogata dentro l’Ue e interviene solo dietro i dettami ONU (le truppe italiane sono le più numerose dell’ONU tra i Paesi più industrializzati). Lo Stivale poi non entra nelle decisioni chiave, non è coinvolto e neppure informato in decisioni e azioni di geopolitica, segno di debolezza e provincialismo.
Stando così le cose però, visto che stiamo sull’aspetto delle questioni estere, vanno rilevati anche alcuni fatti nient’affatto trascurabili ma tutto sommato poco evidenziati.
L’Italia è tra le ben poche nazioni dell’occidente europeo e nordamericano che non subisce attentati o attacchi singoli di matrice estremista o fondamentalista.
Bisogna rendersi conto cosa significa subire attentati in patria, tra la gente per capire quanto preziosa sia questa nostra specificità.
Oltre a lutti indignazione e paura entrano tante conseguenze per la vita collettiva. Aumenta lo stress quotidiano di tutti, crescono procedure di controllo e diffidenza; tutto diventa più lento e inibito e il senso di frustrazione colpisce la sfera delle forze dell’ordine, della politica e della società con ripercussioni su turismo commercio e pubblici eventi. Certo una collettività compatta e sana, faticando, sa democraticamente riprendersi e arginare i momenti brutti, ma è una prova che non si augura a nessuno.
Vero, nel suolo italico oltre alle nefaste mafie ci sono stati gravissimi attentati eversivi e gli Anni di Piombo, ma si tratta di trenta e più anni fa e d’ideologie diversissime da queste odierne e che interessarono, internamente, quasi tutti nello scenario dell’epoca.
Attenzione però: attentati e aggressioni degli ultimi anni arrivano ideologicamente “da fuori”, da menti straniere nel senso che vengono e/o vorrebbero andare al di fuori dei nostri (pur imperfetti) sistemi di vita occidentali e dunque sono temi di politica estera.
E siamo giunti al punto. Stante la non esposizione ad atti di terrorismo, la deprecata diplomazia e le vituperate relazioni internazionali italiane, sicuramente insieme agli apparati di sicurezza (che sono sempre anche di Interpol) forse non lavorano così male. Evidentemente l’Italia ha un profilo nei rapporti, un “carattere” nelle relazioni tale da non suscitare avversione. È perché siamo deboli, inconsistenti? Mah! Non è plausibile pensare che nazioni come il Belgio o la Svezia siano tanto più influenti e potenti dell’Italia da essere vittime “degne” di ospitare attentati, com’è avvenuto. I motivi sono certamente altri.
La distanza da trascorsi o recenti atteggiamenti di palese colonialismo, l’approccio non muscolare e non interventista verso chicchessia, la buona abitudine pur tenendo ai nostri interessi di non voler primeggiare “a tutti i costi” neanche nelle riunioni oltre che nei movimenti internazionali, e anche il fatto di ospitare un intero Stato religioso, il Vaticano, che da decenni diffonde nette idee di pace ed ecumenismo, sono fattori che danno probabilmente un’idea dell’Italia come un Paese tranquillo e pacioso (tutto interessato a belle arti e abbigliamento, spaghetti e calcio, canzoni e debiti).
Sia chiaro non si sta dicendo che alcuni Paesi o popoli meritino attentati o azioni terroristiche. Tra l’altro ci sono nazioni, ad esempio la Germania, che da decenni hanno atteggiamenti di apertura, offerte di lavoro, integrazione, attenzione alle minoranze e una pressoché assoluta non ingerenza estera, eppure sono attaccati. Il terrorismo inoltre agisce sui cittadini indifesi e incolpevoli ed è bene ricordare sempre uno dei cardini della modernità: eventuali responsabilità sono individuali mai di gruppo o di un’etnia. Giammai è giustificabile che persone o bimbi casualmente in strada possano orrendamente pagare, a suon di bombe, per questioni del loro popolo.
Infine; in questi ultimi mesi in Cile, Francia, Hong Kong, Iraq, Iran, Tunisia, Bolivia, Romania, Marocco… divampano proteste, sia pure con origini e motivi diversi. L’Italia invece dai remoti tempi della Contestazione, che fu un fenomeno davvero globale, ha avuto vari movimenti, anche cresciuti e rilevanti (come il Cinque Stelle) ma non sommovimenti. Nulla di tanto profondo o ripetuto da mettere in crisi la macchina sociale dall’interno. Lo si giudichi come si vuole eppure anche questo è un segno distintivo per certi versi positivo.
Siamo dunque una nazione d’imbelli e codardi oppure sapendo che ci sono problemi e ingiustizie sappiamo cercare adattamenti rimedi o migliorie senza comportamenti troppo rigidi? Forse sappiamo solo… vivere (infatti qua la vita media è tra le più lunghe al mondo).
Insomma, per certe cose l’Italia evidentemente ha una marcia in più e se qualcuno dice che è una marcia in meno allora possiamo replicare che comunque è la marcia giusta.