di Enrico Oliari –
Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha già fatto sapere che “valuteremo”, ma è certo che con il mandato d’arresto internazionale per Benjamin Netanyahu la strategia del doppiopesismo è destinata a non pagare.
Dopo 43mila morti a Gaza di cui un terzo bambini, bombardamenti continui in Libano e in Siria ma anche su altri quattro fronti, la Camera preliminare I della Corte penale internazionale, cioè quella che si rifà allo Statuto di Roma sottoscritto nel 1998 e entrato in vigore nel 2002, ha finalmente emesso il mandato d’arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il quale diventa così ricercato nei paesi firmatari tra cui l’Italia. Un secondo mandato d’arresto è stato emesso nei confronti dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, ed entrambi sono accusati di “crimini contro l’umanità e crimini di guerra” commessi fino al 20 maggio 2024, cioè quando la Procura della Corte penale ha depositato la richiesta.
Altri mandati di arresto sono stati spiccati per gli esponenti di Hamas Mohammed Diab Ibrahim al-Masri, la cui sorte non si conosce e che Israele ritiene di aver ucciso in uno dei tanti raid dell’estate scorsa, mentre la stessa Corte ha reso noto di aver lasciato decadere i mandati nei confronti di Yahya Sinwar e Ismail Haniyeh, entrambi uccisi dagli israeliani, Haniyeh addirittura con un missile in Iran.
Certo è che per il governo italiano, che ha sempre sposato la tesi del “diritto di Israele a difendersi”, si presenta ora un problema di carattere politico, per cui Tajani si è preso il tempo che non si era preso per Vladimir Putin, e pur dichiarando che “noi sosteniamo la Cpi”, ha già messo lì un distinguo affermando che “la Corte deve svolgere un ruolo giuridico e non un ruolo politico”. Come se davanti ad accuse di genocidio depositate alla Corte internazionale di giustizia, e davanti a una mattanza di civili senza precedenti, potrebbero esservi “motivazioni politiche” e non giuridiche.
Il governo israeliano la butta, neanche a dirlo, sull’antisemitismo, in linea con la dichiarazione di Netanyahu all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di settembre, da lui definita una “palude antisemita”. Il suo ufficio ha affermato in una nota che “la decisione antisemita della Cpi è un moderno processo Dreyfus, e finirà così”, e ha parlato di “atteggiamento discriminatorio” sostenendo che “non c’è nulla di più giusto della guerra a Gaza” in risposta al terrorismo di Hamas che ha “lanciato il più grande attacco contro il popolo ebraico dai tempi dell’Olocausto”. Su