
di Giovanni Caruselli –
Lagos, caotica megalopoli di 20 milioni di abitanti, capitale della Repubblica di Nigeria, uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo. I rifiuti di plastica sono dappertutto: nei corsi d’acqua, nelle discariche, perfino in tutti gli angoli nascosti dei quartieri residenziali. La catena alimentare e la fauna ne risentono pesantemente, il fiume Niger e il Golfo di Guinea sono fra le località più inquinate del mondo. Superando mille difficolta il 2 marzo del 2022 l’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite ha varato un documento che prevede entro la fine del 2024 la redazione di linee guida vincolanti che mettano sotto controllo e incanalino verso una soluzione virtuosa il problema dell’inquinamento da plastiche su scala planetaria. Tuttavia per il momento non ci sono neppure dati precisi sulla mole di rifiuti che andrebbero bonificati. Secondo la Banca Mondiale nei Paesi subsahariani solo il 44% di essi viene raccolto e gestito adeguatamente, mentre l’Agenzia nigeriana che si occupa del problema calcola solo il 20% di bonifica. Nel 2020 i rifiuti di plastica nel Paese ammontavano a 1.5 milioni di tonnellate. Nei Paesi sviluppati la raccolta della plastica riguarda circa il 90% dei rifiuti. Lagos produce più di 13mila tonnellate di plastica al giorno e, malgrado gli sforzi dell’amministrazione per un’educazione all’uso responsabile e al corretto smaltimento di questo materiale, il problema si presenta in tutta la sua gravità. La plastica viene abbandonata dappertutto, buttata nei corsi d’acqua, spesso bruciata e la popolazione non è cosciente del danno che ciò apporta alla comunità. L’amministrazione ha comperato bidoni per la raccolta delle plastiche, ma la maggioranza delle famiglie è troppo povera per acquistarli. Solo i più benestanti, per così dire, sono nelle condizioni di possedere bidoni di diversi colori per la raccolta differenziata.
Ma addossare la responsabilità di questa situazione solo ai cittadini nigeriani sarebbe ingiusto. La Nigeria è un Paese povero e sovrappopolato. Si calcola che entro il 2050 ospiterà circa 400 milioni di abitanti. Le imprese occidentali che portano lavoro dall’estero portano anche un quantitativo sempre maggiore di plastiche e non esiste in questo momento una regolamentazione legale condivisa che costringa gli imprenditori a occuparsi adeguatamente dei rifiuti che i loro impianti producono. Le raccomandazioni vengono ignorate o eluse e la cosiddetta responsabilità sociale d’impresa resta una formula vuota che pochissimi rispettano. In questo modo l’idea di sviluppo sostenibile che dovrebbe assicurare alle generazioni future un ambiente vivibile e non nocivo viene vanificata, almeno fino a quando la comunità internazionale non avrà la forza di imporsi agli interessi privati dominanti.
A partire dal gennaio del 2025 tutti gli uffici pubblici, gli ospedali e le scuole non potranno più usare plastiche monouso. Il provvedimento è incoraggiante e sicuramente avrà qualche risultato, ma l’obiettivo principale è quello di far comprendere alla popolazione l’importanza della questione. In breve tempo esso dovrebbe essere esteso a tutti gli ambienti in cui si fa uso di plastica non riciclabile. Non sarà facile, perché per i commercianti e i ristoratori l’acquisto di contenitori di plastica riciclabile o di polistirolo costituisce un aggravio nei costi non indifferente. In qualche caso ci si sta preparando invitando gli acquirenti a portare con se i propri contenitori. Dove si può reperire spazio i mercati si trasformano in un aggregato di pianali dove si può consumare ciò che si acquista usando vasellame che viene poi ripulito alla buona. Ma la sfida è veramente ardua, anche perché le fabbriche di contenitori di plastica monouso lavorano a pieno ritmo e se la legge fosse veramente rispettata si determinerebbe un notevole aumento della disoccupazione in un Paese che soffre già di un’inflazione al 29%. L’esempio della Nigeria viene comunque seguito da altri Paesi africani come Kenya, Senegal, Tanzania ed Eritrea.