Nigeria. Scontri etnici e religiosi: 54 morti in un villaggio

di Giuseppe Gagliano –

Mentre il mondo guarda altrove, la Nigeria centrale continua a morire in silenzio. Lo Stato di Plateau, epicentro di tensioni etniche e religiose sedimentate nel tempo, è tornato sotto i riflettori dopo l’ennesima carneficina: il 14 aprile, il villaggio agricolo di Zike è stato attaccato da uomini armati, lasciando dietro di sé decine di corpi e case rase al suolo. Amnesty International denuncia un bilancio agghiacciante: 54 morti, mentre la Croce Rossa conferma almeno 52 vittime. Il presidente Bola Tinubu ha parlato genericamente di “oltre 40”.
Un’offensiva brutale che si inserisce in un quadro di violenza sistemica e impunità cronica. Secondo Amnesty, tra dicembre 2023 e febbraio 2024 nello Stato di Plateau sono state uccise 1.336 persone. Solo nelle ultime due settimane, almeno 144 civili sono stati massacrati, con attacchi che hanno coinvolto anche lo Stato confinante di Benue. Gli assalitori, spesso identificati come pastori Fulani armati, colpiscono di notte, bruciano abitazioni, saccheggiano villaggi, sparano alla cieca. E se ne vanno indisturbati.
Il fallimento dello Stato è clamoroso. Amnesty parla di “imperdonabili falle nella sicurezza”. E non è la prima volta. Ogni ciclo di violenza genera dichiarazioni ufficiali, promesse di indagini, proclami sulla “fine delle rappresaglie”. Ma sul terreno, nulla cambia. Gli aggressori non vengono fermati, i sopravvissuti non vengono protetti, i responsabili non vengono processati. Il governo federale agisce con inerzia istituzionalizzata, mentre la polizia e l’esercito, dove presenti, spesso arrivano troppo tardi, o non arrivano affatto.
Il presidente Tinubu ha affidato la risposta alla retorica: ha parlato di “incomprensioni tra gruppi etnici e religiosi”, ha ordinato “indagini approfondite”, ha ribadito il rifiuto della vendetta. Ma la popolazione colpita, composta in prevalenza da contadini cristiani, ha bisogno di qualcosa di più delle parole: ha bisogno di sicurezza, giustizia, risposte concrete.
Per Amnesty, la situazione è chiara: le misure adottate non funzionano. Il governo fallisce nel garantire la protezione dei civili e nel portare in tribunale i veri mandanti delle violenze. Un vuoto istituzionale che alimenta un ciclo di impunità e che offre spazio a milizie etniche, predicatori estremisti e attori armati pronti a sfruttare ogni tensione locale.
Ma la radice del problema è più profonda. Gli scontri in Plateau e Benue sono la manifestazione più visibile di una guerra invisibile per la terra e l’identità, in cui la crescita demografica, il cambiamento climatico e l’espansione dell’agricoltura hanno eroso le tradizionali rotte pastorali, esasperando i conflitti tra comunità stanziali e nomadi. In un contesto segnato dalla fragilità dello Stato, ogni contesa diventa pretesto per la violenza.
Il governatore Caleb Mutfwang ha imposto il coprifuoco motociclistico, vietato il pascolo notturno e limitato il trasporto del bestiame. Ma si tratta di misure tampone in assenza di una strategia di lungo periodo che affronti le cause strutturali del conflitto: la pressione su risorse sempre più scarse, l’assenza di meccanismi di arbitrato locale, la radicalizzazione religiosa.
In conclusione, ciò che Amnesty denuncia non è solo un fallimento operativo del governo Tinubu. È il fallimento di un intero modello di gestione del pluralismo etnico e religioso in Africa occidentale. Una crisi che la Nigeria, gigante fragile del continente, non può più ignorare. Perché senza giustizia, sicurezza e riforme, ogni villaggio bruciato oggi sarà solo il preludio a un massacro più grande domani.