Nucleare iraniano: partito l’arricchimento dell’uranio oltre il Jpcoa, ma la finestra resta aperta

di Nunzio Messere

L’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano, il Jpcoa del 2015 sottoscritto da Barak Obama e dai rappresentanti di Russia, Francia, Gb, Cina + Germania (Ue), ma soprattutto la mancata risposta dell’Unione Europea, sta spingendo la Repubblica Islamica dell’Iran a fare altrettanto, ed oggi il portavoce dell’agenzia atomica iraniana, Behrouz Kamalvandi, ha comunicato l’avvio della terza fase di arricchimento dell’uranio attraverso l’immissione di gas dello stesso minerale nelle due nuove centrifughe avanzate, la 20 Ir4 e la 20 Ir6. Kamalvandi ha affermato che “Abbiamo iniziato a eliminare le limitazioni imposte a Ricerca e Sviluppo dall’accordo. Questo includerà lo sviluppo di nuove e più avanzate centrifughe. Tutti questi passi sono reversibili, se le altre parti manterranno le promesse”.
Il fatto è che gli Usa hanno obbligato, pena sanzioni, i paesi alleati tra cui l’Italia a non acquistare idrocarburi dall’Iran, cosa che sta penalizzando fortemente il paese, e già in maggio il presidente Hassan Rohani aveva fatto sapere che “se gli Usa non interromperanno il comportamento sanzionatorio entro 60 giorni l’Iran riprenderà il programma di arricchimento dell’uranio a scopo militare”. Stessa cosa il Consiglio supremo di sicurezza nazionale, il quale in una nota aveva scritto che “Per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali del popolo iraniano, e nell’implementazione dei suoi diritti previsti dai paragrafi 26 e 36 del Jcpoa, la Repubblica Islamica interrompe da oggi alcune delle sue misure sotto il Jcpoa”.
Donald Trump aveva messo la cassazione dell’accordo già nella sua campagna elettorale, ma voci di corridoio della Casa Bianca hanno riferito ai media statunitensi di una sorta di pentimento della scelta, in quanto l’uscita dal Jpcoa verrebbe ad essere un pantano diplomatico di difficile via d’uscita, con il rischio addirittura che si inneschi un’escalation dalle conseguenze imprevedibili. Il presidente Usa d’altronde ha dovuto dare conto alle potenti lobby sioniste che ne hanno garantito l’elezione, e sono molte le pressioni a cominciare da quelle saudite per arrivare a quelle israeliane perché manu militari si chiuda il capitolo iraniano una volta per tutte.
Anche Teheran comunque tiene una finestra aperta, ed agli inizi di agosto Rohani ha dichiarato che “La Repubblica Islamica dell’Iran è favorevole a colloqui e negoziati e, se gli Stati Uniti vogliono davvero parlare, prima di ogni altra cosa dovrebbero revocare tutte le sanzioni”. Ha poi precisato, nella solita dialettica iraniana, che le sanzioni rappresentano un’azione terroristica, per cui vanno eliminate dal momento che ”Non possiamo parlare con dei criminali”. Se però verranno tolte, “la nostra nazione perdonerà, ma solo se è un vero pentimento”.
Nel suo intervento di oggi Kamalvandi ha precisato che i siti nucleari resteranno aperti agli ispettori dell’Aiea i quali, a dispetto di quanto affermato da Trump e dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, hanno sempre accertato il rispetto pedissequo del Jpcoa da parte degli iraniani.
Al momento l’unico segnale arrivato dagli altri firmatari dell’accordo e dalla Pesc Federica Mogherini, oltre che a non dichiarare il Jpcoa decaduto, è stato il dissociarsi dall’iniziativa Usa di sanzionare il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, considerato l’interlocutore ideale anche per le sue riconosciute capacità di trovare le soluzioni impossibili.
Molto di più potrà fare l’eventuale cambio di guardia alla Casa Bianca: le elezioni presidenziali sono previste per il 3 novembre 2020, e Trump deve ora scontare l’effetto delle contro-sanzioni cinesi ed i primi contraccolpi dell’economia negli Stati Uniti.