Nuove idee non utopistiche per salvare l’Africa (e l’Europa)

di Ciro Maddaloni * –

Il premier italiano Giorgia Meloni ha aperto a livello nazionale ed europeo il dibattito sulle politiche da porre in essere per aiutare veramente l’Africa e i giovani africani, oggi costretti dalla miseria e dall’illusione di una vita migliore ad affrontare viaggi che spesso, troppo spesso, mettono a rischio la loro stessa vita pur di cercare nuove opportunità in Europa.
Le migrazioni sono sempre esistite e sempre esisteranno. La gente fin dalla notte dei tempi ha intrapreso viaggi della speranza per cercare condizioni di vita migliori dove queste si prospettavano.
Tuttavia, quello che sta avvenendo negli ultimi due decenni, più che essere simile alle migrazioni dei nostri avi che fin dagli inizi del 1900 e successivamente, dopo la Seconda Guerra Mondiale, andavano a cercare fortuna in America, in Sud Africa e perfino nella lontanissima Australia. Quelle migrazioni erano molto diverse da quello che sta succedendo oggi in Africa, dove i giovani africani vengono irretiti da trafficanti di esseri umani senza scrupoli che, prima li depredano di tutti i loro averi e poi li abbandonano in mare contando sul fatto che qualcuno interverrà per aiutare queste povere persone ad effettuare la traversata verso l’Europa.
Senza voler riaprire il dibattito sul “pull factor” da parte delle ONG che operano in mare, quello che è evidente è che questo traffico di esseri umani dall’Africa deve essere fermato per la sicurezza di questi giovani e per aiutare l’Africa a non perdere le sue risorse migliori, necessarie per lo sviluppo dei Paesi africani.
L’idea del premier italiano di lanciare un programma per sostenere lo sviluppo dell’Africa è un progetto antico e allo stesso tempo rivoluzionario. Da troppi anni, dopo la seconda Guerra mondiale e successivamente alla fine del colonialismo in Africa, i Paesi europei spendono cifre importanti ogni anno per sostenere lo sviluppo dell’Africa, senza che si siano realmente raggiunti risultati significativi.
Un comico francese ha coniato una battuta che va molto di moda anche in Africa e che recita così: «le tasse pagate dai poveri in Europa servono ad ingrassare i ricchi in Africa!».
Questo succede perché i Paesi europei che destinano i loro aiuti all’Africa quasi mai effettuano questi interventi direttamente, in forma bilaterale. Ciò si usa fare per evitare che questi aiuti possano essere percepiti come forme di nuovo colonialismo. Per questa ragione si opta quasi sempre verso il multilateralismo, facendo confluire i fondi nelle varie agenzie dell’ONU che operano in Africa come, ad esempio, la FAO, WFP e l’UNDP.
Le Agenzie dell’ONU che operano in Africa, purtroppo, non hanno dato prova di grande efficacia con i loro interventi sul terreno. Leggendo i loro bilanci si nota come la gran parte del budget che ricevono per realizzare i loro progetti per lo sviluppo dell’Africa finiscono spesso per sostenere le spese di esercizio delle stesse agenzie. I fatidici costi di autogestione. Salari, dotazioni tecniche, viaggi, studi, convegni, scuole per i figli dei dipendenti delle agenzie stesse, assorbono la quasi totalità del budget disponibile che viene raccolto con i fondi destinati allo sviluppo dell’Africa.
I Governi corrotti e la totale mancanza di trasparenza da parte dei Paesi africani, beneficiari degli aiuti, completano quel quadro disastroso che si può rilevare dopo quasi 50 anni di sussidi per lo sviluppo dell’Africa. Queste evidenze confermano la citata battuta del comico francese.
Com’è possibile constatare, la gran parte delle iniziative e dei progetti portati avanti per l’Africa hanno risolto solo in minima parte e solo in alcuni Paesi i problemi dello sviluppo e soprattutto, dell’autonomia alimentare dei Paesi africani.
Insomma, l’autonomia alimentare resta ancora il vero problema irrisolto in Africa, che è anche l’evidenza del fallimento delle iniziative che si sono susseguite negli anni per aiutare questo Paese.
Un ulteriore problema che si è radicalizzato in Africa è la guerra tra bande armate, spesso mascherata come conflitto di religione, mentre si tratta solo di delinquenza comune che cerca di prevaricare e consolidare il suo potere nei vari Paesi africani dove Governi corrotti e molto spesso complici sopravvivono grazie a queste situazioni di tensione e conflitto perenne.
Non ultimo, le mire espansionistiche coloniali russe in alcuni Paesi africani e la fame di materie prime delle industrie cinesi hanno completato la distruzione di quel poco che si era riusciti a fare alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso.
Per questo il piano proposto dall’Italia è antico e rivoluzionario allo stesso tempo. L’Europa unita, se volesse, potrebbe finalmente provare a cambiare le sorti dell’Africa favorendo realmente lo sviluppo dei Paesi africani esportando non solo capitali, ma soprattutto personale qualificato per sviluppare realmente progetti per l’agricoltura, la sanità, l’istruzione e le infrastrutture essenziali per garantire all’Africa le condizioni base per lo sviluppo.
Non servono ideologie e buoni propositi di giovani europei volenterosi che vanno in Africa con l’idea di aiutare e che, spesso, finiscono solo per creare o acuire i problemi esistenti.
Serve una adeguata strategia e poi competenza, preparazione e capacità tecnica per realizzare le cose che possono aiutare realmente l’Africa. Serve una cooperazione pubblico-privato per creare lavoro in Africa e per produrre qui quello che può a garantire l’autonomia alimentare, sanitaria e le condizioni di vita normali necessarie a stabilizzare la società africana.
È inutile continuare a sperare nelle varie agenzie dell’ONU, come la FAO, IFAD e il WFP, che non sono riuscite in 50 anni a raggiungere risultati significativi rispetto alla loro missione e il loro mandato. E ai loro sostanziosi budget.
Questa è una triste verità che può essere verificata da chiunque abbia avuto modo di entrare in contatto con il mondo della cooperazione allo sviluppo e che abbia partecipato a lavori e progetti in Africa.
Proprio per questo il piano proposto dal premier italiano potrebbe finalmente rappresentare quel punto di discontinuità, per superare la gestione degli aiuti in Africa oggi monopolio dall’ONU e dalle sue Agenzie e per provare a creare un nuovo approccio più concreto e più efficiente per aiutare veramente l’Africa e gli africani.

* Esperto di eGovernment internazionale.

Articolo in mediapartnership con Giornale Diplomatico.