Oceano Indiano. Saprà resistere come zona di pace?

di Francesco Giappichini

Il primo dicembre è terminato a Mauritius il Summit tra le Nazioni Unite e la Commissione dell’Oceano Indiano (Coi), ossia l’organizzazione internazionale regionale che rappresenta le isole dell’oceano Indiano occidentale: Comore, Francia in rappresentanza di Réunion, Madagascar, Mauritius e Seychelles. I cinque Paesi hanno lanciato l’allarme per le nuove sfide geopolitiche e climatiche, che minacciano la vocazione pacifica della zona. Ed hanno riaffermato il principio secondo cui l’intero oceano Indiano deve conservare lo status di zona di pace, così come sancito dalla Risoluzione 2832 delle Nazioni unite, (datata dicembre ’71). Il Vertice verteva sul tema della pace, e nell’occasione il segretario generale Vêlayoudom Marimoutou della Coi ha dichiarato: «Prendiamo atto delle turbolenze provenienti dall’estero, che nascono dai nuovi equilibri internazionali, e dalla guerra in Ucraina, e soprattutto non diciamo abbastanza sull’impatto del cambiamento climatico. Colgo l’occasione per dire che in questa zona di pace dobbiamo andare oltre, e spingere le Nazioni unite a proteggere la regione». Sono svariate le minacce alla pace dell’oceano Indiano, e vanno dai progetti militari delle grandi potenze, alle rivendicazioni territoriali. In particolare, gli analisti puntano il dito su una futura base militare indiana, che è in costruzione nella remota isola di Agalega Nord: lo scoglio, sotto sovranità mauriziana, si trova a 1100 chilometri dall’isola di Mauritius propriamente detta. Con quest’avamposto, l’India punterebbe soprattutto a monitorare le attività dei rivali cinesi. Una struttura che andrà ad aggiungersi alla base anglo-americana dell’isola britannica di Diego Garcia, senza tener conto delle mire dell’United states navy sulla base navale militare di Antsiranana (Diego Suarez), in Madagascar. Altrettanto complessa la pagina delle dispute territoriali: con Mauritius che rivendica le Isole Chagos sotto il controllo del Regno Unito, e le Comore che chiedono alla Francia la restituzione di Mayotte, nonostante i mahorais abbiano deciso con referendum di restare con Parigi. Senza dimenticare la decennale rivendicazione delle Îles Éparses de l’océan Indien: un Distretto che la Francia non si sogna di consegnare al Madagascar, nonostante tutti i leader malgasci che si succedono al potere, pongano quest’obiettivo nei programmi. E nonostante una risoluzione delle Nazioni unite riconosca come quattro dei cinque isolotti (Bassas da India, Europa, Gloriose e Juan de Nova) siano stati separati arbitrariamente dall’Isola rossa, in un processo di decolonizzazione dunque incompleto. Intanto la seconda riunione della Commissione mista franco-malgascia sulle Isole sparse, prevista a novembre, è stata rinviata a tempo indeterminato, per la sostituzione del capo della diplomazia ad Antananarivo. La posizione francese, riaffermata dal presidente Emmanuel Macron, è chiara: sì a cooperazione e collaborazione scientifica col Madagascar, ma no a co-gestione né tantomeno alla restituzione; l’area sarà dunque trasformata in un santuario per preservare la biodiversità, e i giacimenti di gas (e altre risorse), di cui il sottosuolo marino è ricco, non saranno sfruttati. Come ha detto Macron, il possedimento è «veramente strategico». E non è solo questione di lotta alla pirateria: l’area conferisce alla Francia una posizione privilegiata nel cuore di una delle rotte commerciali più importanti al mondo, attraverso cui passa quasi il 30% del petrolio mondiale.