Oltre Berlino?

L’assurdità dell’ipotesi imperialista russa e il vero perimetro dell’identità secondo il Cremlino.

di Riccardo Renzi

Nel dibattito pubblico occidentale capita spesso di imbattersi in titoli allarmistici che parlano di una Russia pronta a spingere i suoi carri armati fino a Berlino, passando per Polonia, Paesi Baltici e Slovacchia. Ma questa narrazione, pur suggestiva e utile a rinsaldare i legami euroatlantici, è priva di una base strategica e politica solida. L’idea che Vladimir Putin voglia colonizzare tutta l’Europa dell’est ricalca stereotipi novecenteschi più che interpretare con lucidità la dottrina geopolitica contemporanea di Mosca.
Il primo punto che sfugge in questo tipo di analisi è la differenza radicale, dal punto di vista russo, tra l’Ucraina e gli altri Stati confinanti. Polonia, Estonia, Cechia, Slovacchia e Finlandia non rappresentano per Mosca un’estensione “naturale” del proprio spazio identitario, mentre l’Ucraina, e in particolare il Donbass e la Crimea, vengono invece letti come parte integrata della “Russkij mir”, il “mondo russo”, per motivi storici, linguistici e culturali.
Nel pensiero strategico russo, l’espansionismo non è un fine in sé, ma una forma di “integrazione” funzionale alla difesa dell’identità nazionale. Il termine chiave è proprio identità, un concetto che ricorre spesso nei documenti ufficiali del Cremlino e che viene usato per descrivere la necessità di unificare la Federazione russa attorno a una “nazione civica”, in grado di mantenere coesione interna pur nella varietà etnica.
In questo quadro, la lingua russa diventa uno strumento cruciale di securitizzazione. Come affermato nelle stesse linee guida del governo russo: “La questione della lingua russa è la questione della sicurezza della nostra grande Madrepatria”. La diffusione e la protezione del russo non è vista solo come una politica culturale, ma come una componente della difesa nazionale.
È su questo asse che si inserisce l’atteggiamento di Mosca verso le ex repubbliche sovietiche dove risiedono significative minoranze russofone: l’interesse di Mosca cresce in modo direttamente proporzionale alla presenza della lingua e della cultura russa. Ecco perché, ad esempio, le tensioni con Lettonia ed Estonia (dove vivono forti comunità russofone) sono ben diverse da quelle con la Polonia.
Anche se la retorica della minaccia militare russa continua a dominare molte analisi, i fatti raccontano un’altra storia. La Russia oggi non ha né la forza industriale né la capacità tecnica per sostenere una guerra di conquista su vasta scala in Europa.
Secondo un’inchiesta di The Economist, la Russia produce appena 20 nuovi carri armati al mese, e il grosso del suo sforzo bellico si regge sul recupero di vecchi modelli T-72 aggiornati. Questi carri, costruiti decenni fa, sono nettamente inferiori agli standard occidentali in termini di protezione, visione notturna e sistemi di puntamento. Gli analisti stimano che la Russia stia perdendo circa 150 carri armati al mese, un ritmo insostenibile anche con l’attuale spinta sulla ristrutturazione dei mezzi dismessi.
A questo si aggiunge un problema strutturale: la dipendenza da componenti elettronici importati, ora sotto embargo. I rapporti della Commissione europea segnalano che Mosca sta montando chip da elettrodomestici nei suoi sistemi d’arma. È il segnale di una crisi produttiva più ampia, che difficilmente permetterebbe alla Russia di sostenere un’offensiva contro eserciti ben più moderni e organizzati di quello ucraino.
Più che di una strategia di conquista, quella russa è una strategia di influenza selettiva, incentrata su ciò che il Cremlino percepisce come affinità identitarie. Ucraina, Transnistria, Abkhazia, Ossezia del Sud: sono tutte aree in cui l’identità russa è, secondo Mosca, minacciata o negata. E quindi, degne di tutela. Al contrario, nei confronti della Polonia o della Finlandia, non esiste né una motivazione storica né una base culturale per giustificare una politica espansiva. Piuttosto, sono i confini dell’influenza linguistica e culturale a delimitare il perimetro dell’azione russa.
L’immagine della Russia come potenza inarrestabile che marcia verso Berlino appartiene più alla narrativa che alla realtà. Mosca oggi agisce entro margini strategici ben delineati, legati alla difesa e alla proiezione di un’identità culturale e linguistica che ritiene minacciata. Il vero rischio semmai non è l’invasione dell’Europa orientale, ma la cristallizzazione di un conflitto freddo ibrido, combattuto a colpi di narrativa, pressione energetica e disinformazione. È lì che si gioca la partita geopolitica, non sui carri armati.