di Silvia Boltuc –
MUSCAT (Oman). Il Medio Oriente ha un innegabile ruolo strategico nello scacchiere geopolitico internazionale. Nelle ultime due decadi la regione mediorientale è stata sconvolta da conflitti locali e dall’intervento armato di attori esterni, dal continuo scontro-confronto tra Iran e Arabia Saudita, dalla diffusione di gruppi terroristici come lo Stato Islamico, dai movimenti di protesta culminati nel fenomeno della cosiddetta Primavera Araba del 2011, e dagli interessi delle multinazionali per le significative risorse di idrocarburi presenti nella regione.
Ad oggi la situazione dell’area presenta un rischio geopolitico elevato: in Siria e Yemen si continua a combattere una guerra civile che ha prodotto migliaia di vittime e profughi, in Libano la crisi politica ed economica sembra non riuscire a dare tregua al paese, in Iraq le manifestazioni contro il potere centrale hanno portato a elezioni anticipate che non garantirebbero una stabilizzazione interna, mentre per i paesi del Golfo aleggia l’incertezza di un futuro che non potrà essere basato soltanto sulle rendite petrolifere e del gas naturale, ma su una diversificazione economica che ad oggi risulta essere ancora distante dai traguardi sperati.
A Muscat, capitale dell’Oman, si sono riuniti più di 260 giornalisti provenienti da tutto il mondo per prendere parte al 31mo Congresso Mondiale della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ), evento che non solo si è focalizzato sulla difficoltà di condurre l’attività di giornalista in un contesto internazionale caratterizzato da conflitti e minacce alla libertà di stampa, ma ha guardato anche al panorama politico regionale e internazionale.
Interessati a comprendere le attuali dinamiche della regione mediorientale, in special modo quelle di Siria, Yemen e Iraq, abbiamo incontrato i rappresentanti del mondo arabo soffermandoci non solo sull’importanza che i media hanno nello sviluppo democratico e moderno di un paese, ma cercando di comprendere quali sono le prospettive locali in merito agli eventi che stanno scandendo l’attualità internazionale come il recente conflitto in Ucraina e la derivante crisi energetica e alimentare.
La Siria contemporanea tra pressioni esterne e minaccia del terrorismo.
Moussa Abdelnour, presidente del Sindacato dei Giornalisti della Repubblica Araba Siriana, si è prima complimentato con gli organizzatori del Congresso Mondiale della IFJ e poi sottolineato come ci sia “…una forte censura sulla Siria e su tutto ciò che accade nel paese. I canali satellitari siriani sono stati vietati e c’è un embargo contro la ricerca e lo sviluppo tecnologico. Le potenze straniere (Stati Uniti e suoi alleati) vorrebbero ascoltare e veicolare soltanto una versione della storia, perché deludono continuamente i loro cittadini raccontando falsità e facendoli vivere in un clima surreale. Questo è chiaro nel caso della Siria, perché tutti coloro che visitano il nostro paese, a fine del loro viaggio, dichiarano che quanto hanno visto sul campo è completamente differente da quello che si legge e viene trasmesso dai media. Parlando proprio di informazione e giornalismo, è evidente che al giorno d’oggi c’è una nuova guerra attraverso i social network e il nostro dovere come giornalisti è quello di dire la verità e dare una narrazione alternativa sugli eventi“.
La Siria affronta da anni la difficile situazione interna che, a seguito delle proteste del 2011, è sfociata in una guerra civile e nell’ascesa di diversi gruppi terroristici come lo Stato Islamico. “Quando hanno fallito (le potenze straniere) nella loro guerra militare contro il governo siriano, il conflitto è cambiato in diverse forme”, ha dichiarato Abdelnour. “La prima guerra contro la Siria sono state le sanzioni imposte contro il popolo siriano. C’è la famosa politica dei due pesi e due misure relativa a tutto ciò che riguarda la Siria, ma vorrei dire che resisteremo e il popolo siriano sconfiggerà qualsiasi minaccia dall’estero. Sebbene ci sia l’occupazione statunitense e turca del territorio siriano, che hanno sostenuto diversi gruppi terroristici, questi governi sono stati sconfitti e le sanzioni economiche sono un altro strumento di guerra che non darà alcun risultato. Vorremmo ringraziare tutti coloro che sostengono il popolo siriano. Sono veri amici e credono nel diritto internazionale. La Federazione Russa, la Cina, la Repubblica Islamica dell’Iran e il Libano hanno aiutato e sostenuto la Siria perché il nostro paese ha pagato questo alto prezzo a causa delle sue posizioni su diverse questioni come supportre i palestinesi contro l’occupazione israeliana e la privazione della loro libertà. Di conseguenza Israele è dietro tutti i recenti problemi che il governo siriano ha affrontato dal 2011. Sfortunatamente Israele continua a minacciare il popolo palestinese, ma la comunità internazionale sembra essere cieca e non ascolta le urla dei palestinesi che chiedono aiuto“.
Yemen: un disastro umanitario che sembra non avere fine.
Fatima Mutahar, rappresentante dei giornalisti dello Yemen, ha descritto una situazione preoccupante del paese che vive oramai da anni una continua crisi umanitaria e sociale. “La situazione in Yemen sta peggiorando di giorno in giorno”, dichiara Mutahar durante il nostro incontro, “la fame è un problema diffuso nel paese, soprattutto per i bambini. Il conflitto ha influenzato negativamente il sistema sociale e sanitario e le infrastrutture. Al giorno d’oggi è difficile garantire i bisogni di base come cibo, servizi sanitari ed energia elettrica. Per anni il popolo yemenita ha perso il lavoro e gli stipendi. Nelle aree sotto il controllo degli Houthi, ad esempio, le persone non vengono pagate per più di sei mesi e, dopo questo lungo periodo, di solito ricevono un importo totale della metà del loro stipendio regolare (circa 50 dollari). La guerra in Yemen è diventata la tomba delle giovani generazioni che vanno a combattere solo per sfamare le loro famiglie. Alcune di queste sacrificano i loro figli i quali, qualora dovessero essere uccisi nel conflitto, garantirebbero un indennizzo alla famiglia necessario per sopravvivere. A causa delle sanzioni economiche, abbiamo registrato un aumento significativo dei prezzi e del costo della vita che la maggior parte della popolazione yemenita non può sostenere”.
Parole, quelle della rappresentante yemenita, che creano ancor più dubbi sul futuro dello Yemen dove, per stessa ammissione di Mutahar, “i giornalisti sono spesso perseguitati, perché il loro compito è quello di dire la verità sul conflitto e sulle conseguenze dell’embargo. In passato, noi giornalisti abbiamo lavorato per la giustizia e per migliorare il nostro sistema legale e la nostra vita, ma oggi ci sforziamo di sopravvivere e di riavere i nostri stipendi. Siamo all’ottavo anno della guerra e tutto quello fatto in passato sembra oramai svanito. Se prima le donne yemenite lavoravano e combattevano per migliorare le loro condizioni di vita e garantire una giustizia sociale ricoprendo anche incarichi prestigiosi nel governo e nelle istituzioni pubbliche, al giorno d’oggi sono alienate dalla società, vivono grandi sofferenze e lavorano soltanto per dare da mangiare ai propri figli”.
Un conflitto quello in Yemen che spesso non trova spazio nei media anche se la comunità internazionale ha cercato di far fronte alla crisi umanitaria locale attraverso programmi di aiuto e lo stanziamento di fondi. Questi soldi, secondo quanto riporta Mutahar, “sarebbero serviti per finanziare i progetti di sviluppo e aiutare la popolazione locale. Sfortunatamente, in Yemen c’è una corruzione dilagante e quindi questi fondi umanitari spesso finiscono nelle tasche di poche persone e i cittadini yemeniti non ricevono benefici dai miliardi di dollari inviati nel paese. Nei social network, ad esempio, di solito si possono leggere i commenti delle persone che si lamentano della scomparsa dei fondi monetari destinati a sostenere e aiutare la popolazione yemenita”.
Per quel che concerne il vicino Sultanato dell’Oman, la percezione yemenita è positiva in merito al ruolo che Muscat ha cercato di giocare nel processo di pacificazione regionale. “Apprezziamo gli sforzi e il ruolo giocato dall’Oman nel promuovere il processo di pace e rendere più vicine le parti in conflitto”, ha dichiarato la giornalista, “anche se più a lungo il conflitto durerà e maggiormente complicata sarà la situazione per il nostro paese. Ad oggi c’è un evidente stallo dal punto di vista militare, perché ogni parte belligerante coinvolta in Yemen non può raggiungere la vittoria completa sul campo di battaglia. Ovviamente di questa situazione chi ne soffre di più sono i cittadini yemeniti”.
L’Iraq dopo le elezioni di ottobre 2021.
Lo scorso ottobre 2021 si sono svolte le elezioni anticipate a causa delle proteste antigovernative che si erano sviluppate nel paese, in special modo nella capitale Baghdad e in città strategiche come Nasiriyah, Karbala, e Basra. Se la situazione politica interna irachena è in continuo sviluppo, lo Stato Islamico rappresenta un problema costante per la sicurezza con le attività dei combattenti jihadisti incentrate principalmente nelle province di Kirkuk, Salaheddin e Diyala attraverso attacchi violenti, utilizzo di dispositivi esplosivi improvvisati (IED) rivolti contro il personale delle forze di sicurezza, sabotaggi ai danni di strutture del sistema elettrico, incendi dei campi agricoli, rapimenti ed estorsioni.
Hassan al-Boudi, segretario generale del Sindacato dei Giornalisti dell’Iraq, ha sottolineato come “dal 2003 la situazione irachena è migliorata grazie ad un sistema politico nuovo che si è aperto al resto del mondo e anche ad altri popoli. Siamo riusciti ad eliminare tutti gli ostacoli imposti dal vecchio regime di Saddam Hussein come le restrizioni sulla stampa e sull’attività politica e anche quelle sull’attività della società civile. Oggi nel nuovo Iraq le porte sono aperte alle organizzazioni internazionali e alle società civili internazionali ed esiste uno spazio considerevole per la libertà di stampa e di espressione. Ogni giornalista così come ogni cittadino iracheno può esprimere il proprio giudizio liberamente nei confronti dell’operato dei dirigenti e dei politici del paese, situazione completamente differente rispetto a quella precedente il 2003 quando esistevano soltanto due o tre canali locali e satellitari legati al regime. Dopo il 2003 l’articolo 38 della Costituzione supoprta la libertà di espressione, regola la stampa e le manifestazioni pacifiche e permette ad ogni cittadino iracheno di fondare un organo di stampa o creare un canale radiofonico, televisivo e satellitare. Attualmente in Iraq sono presenti più di 50 televisioni, decine di quotidiani e un numero significativo di emittenti radiofoniche e agenzia stampa. Tutti questi dati permettono di evidenziare un segnale positivo per la stampa irachena”.
L’Iraq è stato un baluardo nella lotta al terrorismo, in special modo contro lo Stato Islamico che continua ad essere presente nel paese. Parlando della sicurezza locale, Hassand al-Baoudi ha affermato che “l’Iraq ha difeso tutto il mondo contro il terrorismo essendo in prima fila nel combattere le diverse organizzazioni terroristiche che volevano portare i popoli all’oscurantismo. Il popolo iracheno ha versato il sangue nella lotta al terrorismo”.
Parlando del governo di Baghdad e della situazione politica a seguito delle recenti elezioni, al-Baoudi ha precisato che “le elezioni anticipate sono state volute dal popolo iracheno, perché se ne è sentita l’esigenza. Siamo in una fase di costruzione del Governo iracheno e del paese e, come in tutte le democrazie, questi sono processi comuni. Le recenti elezioni sono i metodi democratici e corretti per poter formare un governo di coalizione nazionale. Certamente con il passare del tempo la democrazia in Iraq sarà consolidata e darà i frutti sperati visto che non esiste nessuna soluzione futura per l’Iraq che non contempli il consenso popolare e i meccanismi democratici”.
Articolo in mediapartnership con SpecialEurasia.