di Guido Keller –
L’attacco di Hamas del 7 ottobre va letto nel contesto dell’oppressione israeliana sui palestinesi. Una realtà che segue decenni di case e di terre espropriate, l’occupazione di 700mila coloni dei territori occupati e la costrizione di oltre due milioni di persone in condizioni miserrime a Gaza.
Eppure ci sono verità impronunciabili, pezzi di storia oggettiva che non vanno detti in un politichese dove semitismo e sionismo sono la medesima cosa.
Dimentico del fatto che anche i palestinesi sono semiti, il presidente francese Emmanuel Macron ha recentemente definito l’attacco di Hamas “il più grande massacro antisemita del nostro secolo”, una forzatura alla quale la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati, la giurista italiana Francesca Albanese, ha risposto puntualizzando via X che le vittime dell’attacco “non sono state uccise per il loro giudaismo, ma per l’oppressione israeliana”. Ha poi aggiunto che “la Francia e la comunità internazionale non hanno fatto nulla per impedirlo”.
Apriti cielo.
Dal Quay d’Orsay è stato fatto sapere che “è una vergogna dare l’impressione di giustificare il massacro del 7 ottobre. Tali commenti sono tanto più scandalosi in quanto la lotta contro l’antisemitismo e contro tutte le forme di razzismo sono al centro della fondazione”.
Giustamente Albanese ha ribattuto di essere contro tutto il razzismo, compreso l’antisemitismo, ma ha osservato che “spiegare questi crimini come antisemitismo ne oscura la vera causa”.
Da lì a poco è arrivato l’intervento di Israel Katz, ministro degli Esteri del paese che ha Gaza ha appena fatto 28mila morti: Katz ha chiesto al segretario generale Onu Antonio Guterres il licenziamento dell’Albanese, per via dei suoi “commenti antisemiti”. Ha quindi insistito che “il tempo del silenzio ebraico è finito”.