Palestina. Da Roma l’appello, ‘come ucraini, ma su di noi silenzio’

L'attivista Thib, ‘l'oblio su violenze israele durante il Ramadan’.

Agenzia Dire

“Siamo qui per non dimenticare la sofferenza che sta vivendo oggi il popolo ucraino, e per non dimenticare però le violenze che invece si è cercato di oscurare su quello palestinese. Durante il mese di Ramadan, come ogni anno, si sono commessi abusi con lo scopo di radicalizzare la situazione, ma il doppio standard non è accettabile”. Karim Thib è esponente dei Giovani palestinesi di Roma, tra le organizzazioni che venerdì scorso hanno organizzato un sit-in a Roma dal titolo “Gerusalemme chiama”. L’agenzia Dire lo ha intervistato a margine, mentre tra i manifestanti, circa un centinaio, c’era chi sventolava bandiere palestinesi o intonava slogan come “Free Palestine”, sotto una pioggia impietosa.
Thib si è fatto portavoce del disagio vissuto dalla comunità palestinese residente in Italia, secondo cui a fronte di un’ampia attenzione politica e mediatica accordata alla causa ucraina, non corrisponderebbe eguale cura per quanto avviene nel vicino Oriente, dove “il popolo palestinese viene condannato all’oblio”.
Per l’attivista “il doppio standard” denunciato dai vari attivisti intervenuti nel corso del sit-in consisterebbe in “un livello di peso diverso: Israele da 70 anni è un avamposto statunitense in Medio oriente”, mentre sul terreno ucraino “gli Usa si giocano la loro stessa esistenza”. Una situazione che si tradurrebbe “nel perorare la causa ucraina anche troppo, raccontandola anche senza cercare una fine non violenta e pacifista al conflitto, ma almeno se ne parla di continuo. Della causa palestinese no, si tenta di insabbiarla e solo quando è veramente troppo, riemerge”, dichiara Thib. Il riferimento è ai fatti avvenuti negli ultimi giorni del mese sacro di Ramadan, quando scontri sono scoppiati nella Spianata delle moschee dove ha sede la moschea di Al-Aqsa, a Gerusalemme Est, il lato della città santa occupata dagli israeliani nella guerra del 1967 e la cui annessione unilaterale non è stata riconosciuta dalla comunità internazionale.
Una situazione che continua ad alimentare tensioni: negli scontri del 22 aprile scorso, 57 persone sono rimaste ferite negli scontri sulla Spianata, secondo stime della Mezzaluna rossa palestinese, mentre il venerdì successivo, l’ultimo di Ramadan, in 22 hanno necessitato di ricovero in ospedale. I media internazionali hanno riferito che dal 15 aprile oltre 170 persone sono rimaste ferite e altre 300 sono state arrestate.
La polizia israeliana ha giustificato gli interventi con le azioni di facinorosi palestinesi, che hanno attaccato gli agenti, e per far fronte a minacce giunte da Hamas. Le associazioni in difesa dei diritti dei palestinesi hanno invece accusato Israele di provocazione, avendo fatto irruzione anche nella moschea dove i fedeli erano riuniti in preghiera. Un giornalista dell’Afp, oltre ai gas lacrimogeni, ha riferito anche dell’uso di pallottole d’acciaio rivestite di gomma usate contro i civili. Ravina Shamdasani, portavoce dell’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, in quei giorni si è detta: “profondamente preoccupata per l’escalation di violenza nei Territori palestinesi occupati e in Israele”.
Il giorno precedente al sit-in romano, a Elad, in un attentato all’arma bianca, tre israeliani sono rimasti uccisi e quattro feriti. Nel fine settimana la polizia ha arrestato due palestinesi di 19 e 20 anni sospettati delle aggressioni. “Questi gesti sono inutili, aggiungono solo altra violenza a quella che già i palestinesi subiscono” ha commentato ancora Thib, convinto che tra i due popoli serva “cooperazione”.
Tra le varie associazioni che hanno sostenuto l’iniziativa a Roma, anche la comunità degli ecuadoriani e degli srilankese, nonché Black Lives matter Roma. Josef Yemane, esponente di quest’ultima organizzazione, sempre alla Dire ha commentato: “Siamo qui perché la discriminazione è sempre sbagliata ma in Palestina avviene a livelli terribili, e spesso i mass media la ignorano”. Yemane ha poi esteso il discorso alla questione dei rifugiati ucraini: “Il conflitto ucraino può essere un’occasione per ripensare l’accoglienza”, superando “il ‘due pesi e due misure’ rispetto agli immigrati. L’Italia si è scoperta un Paese accogliente verso le migliaia di ucraini che scappano dalla guerra”. Tale modello può essere utile a “cambiare un sistema viziato da razzismi e abusi” verso i migranti non europei.