Palestina. Operazioni militari: in 40mila costretti a fuggire dalla Cisgiordania

di Giuseppe Gagliano

L’UNRWA ha lanciato l’allarme sulla situazione sempre più grave nella Cisgiordania occupata, dove lo sfollamento forzato dei palestinesi sta aumentando a un ritmo allarmante. Secondo l’agenzia, circa 40mila persone sono state costrette a lasciare le proprie case nelle ultime settimane a causa delle operazioni militari israeliane nella regione.
L’offensiva su larga scala è iniziata il 21 gennaio, due giorni dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza. Inizialmente concentrata su Jenin e le aree circostanti, dove 25 persone sono state uccise secondo il Ministero della Salute palestinese, le operazioni si sono poi estese a Tulkarm il 27 gennaio, causando altre cinque vittime, e successivamente a Tamoun e al campo profughi di Fara’a, nella regione di Tubas.
Secondo le Forze di Difesa Israeliane (IDF), l’”Operazione Iron Wall” ha portato a risultati militari significativi contro i gruppi armati. L’esercito ha dichiarato di aver ucciso oltre 35 uomini armati durante le operazioni a Jenin, Tulkarm e Tamoun, mentre altri 15 sono stati eliminati in attacchi con droni. L’IDF ha inoltre confermato l’arresto di oltre 100 palestinesi ricercati e il sequestro di circa 40 armi, oltre alla neutralizzazione di oltre 80 ordigni esplosivi. Tuttavia, l’esercito ha ammesso di aver ucciso per errore diversi civili, tra cui un bambino piccolo.
L’UNRWA ha riferito che diversi campi profughi sono stati “quasi completamente svuotati” dai loro residenti, descrivendo questa come la più lunga campagna militare nel territorio dalla Seconda Intifada, il conflitto che, tra il 28 settembre 2000 e l’8 febbraio 2005, si intensificò rapidamente trasformandosi in una vera e propria guerra di logoramento tra Israele e Palestina. Secondo l’agenzia, “il campo di Jenin oggi è vuoto, evocando i ricordi della Seconda Intifada”, sottolineando che oltre il 60% degli sfollamenti di palestinesi registrati in Cisgiordania lo scorso anno è stato causato da operazioni militari israeliane.
Jamal Juma’a, responsabile della campagna Stop the Wall, ha dichiarato che l’offensiva israeliana “mira chiaramente a preparare l’infrastruttura per l’annessione” della Cisgiordania. L’annessione di territori occupati è illegale secondo il diritto internazionale, sebbene il governo israeliano preferisca definirla come “applicazione della sovranità”. Juma’a ha suggerito che questa accelerazione nelle acquisizioni territoriali rappresenti un tentativo di ottenere l’approvazione degli Stati Uniti per l’annessione definitiva della Giudea e della Samaria, la denominazione biblica utilizzata comunemente dalla destra radicale israeliana e dai coloni.
Juma’a ha sottolineato che il governo di estrema destra israeliano, “sostenuto da una grande parte della società israeliana”, ritiene che questo sia il momento perfetto per affrontare la questione dei rifugiati, ritenendo di godere dell’immunità e del sostegno degli Stati Uniti e dell’Europa per portare avanti i propri obiettivi.
Dall’inizio del 2025, Israele ha condotto 38 raid aerei sulla Cisgiordania. Secondo il Armed Conflict Location and Event Data (ACLED), un gruppo di monitoraggio delle crisi con sede negli Stati Uniti, l’operazione ha causato quasi 70 morti, di cui almeno 44 legati alle operazioni israeliane a Jenin, Tulkarm e Tubas, dati confermati dal Ministero della Salute palestinese.
La situazione è stata ulteriormente complicata dal divieto imposto da Israele alle operazioni dell’UNRWA, entrato in vigore il 30 gennaio. L’agenzia ha avvertito che la restrizione ha reso “impossibile sollevare preoccupazioni sulla sofferenza dei civili o sull’urgente necessità di fornire assistenza umanitaria”, sottolineando che questo “mette gravemente a rischio la vita dei rifugiati palestinesi e del personale dell’UNRWA che li serve”.
L’UNRWA ha ribadito il suo appello a Israele affinché protegga i civili e le infrastrutture civili “in ogni momento”, aggiungendo che “la punizione collettiva non è mai accettabile”. L’agenzia fornisce aiuti umanitari, servizi sanitari ed educativi a milioni di persone nella Palestina occupata, oltre che a milioni di rifugiati palestinesi nei paesi vicini, come Siria, Libano e Giordania.
Le forze israeliane hanno preso di mira in particolare i campi profughi, tra cui quelli di Jenin, Tulkarm e Tubas, mettendo ulteriormente a rischio una popolazione già vulnerabile. L’UNRWA ha evidenziato che “le operazioni ripetute e distruttive hanno reso inabitabili i campi profughi del Nord, intrappolando i residenti in uno sfollamento ciclico”. I quattro campi colpiti ospitavano complessivamente circa 76.600 rifugiati.
Circa 750mila palestinesi furono costretti a lasciare le loro case dalle milizie durante la Nakba del 1948, che portò alla creazione dello Stato di Israele, proclamato indipendente il 14 maggio dello stesso anno. Oggi, i loro discendenti costituiscono i 7 milioni di rifugiati palestinesi nel mondo. Circa un milione di loro vive in Cisgiordania, di cui un quarto risiede in 19 campi profughi.