Passa in sordina la Giornata mondiale contro lo sfruttamento minorile

di C. Alessandro Mauceri

Il 16 aprile in tutto il mondo si celebra la Giornata mondiale contro la schiavitù minorile. Venne istituita nel 1995 dopo la morte di Iqbal Masih, un bambino pakistano di dodici anni operaio tessile, attivista e simbolo della lotta contro il lavoro minorile… di bambini che lottano per i diritti fondamentali non ci sono solo quelli impegnati per l’ambiente. Iqbal iniziò a lavorare a sei anni per contribuire ai bisogni della famiglia: incatenato ad un telaio, lavorava per 12 ore al giorno, 7 giorni alla settimana. Fuggito a questa forma di moderna schiavitù, Iqbal Masih cominciò a viaggiare e a partecipare a conferenze internazionali, sensibilizzando l’opinione pubblica sui diritti negati dei bambini lavoratori pakistani e di tutto il pianeta. Nel dicembre del 1994 presso la Northeastern University di Boston gli fu conferito il premio Reebok Human Rights Award, e vista la giovanissima età venne creata una categoria apposita: Youth in Action. Morì in circostanze rimaste ancora oggi poco chiare e contraddittorie, il 16 aprile 1995, il giorno di Pasqua. Secondo alcuni era diventato una scomoda voce di denuncia delle grosse industrie tessili del Pakistan e di tutte quelle che basano i propri profitti sullo sfruttamento del lavoro minorile.
Ancora oggi, nel mondo, sono almeno “150 milioni i bambini intrappolati in impieghi che mettono a rischio la loro salute mentale e fisica e li condannano ad una vita senza svago né istruzione” come dice l’UNICEF.
“Il fenomeno del lavoro minorile è concentrato soprattutto nelle aree più povere del pianeta, in quanto sottoprodotto della povertà, che contribuisce anche a riprodurre. Tuttavia, non mancano casi di bambini lavoratori anche nelle aree marginali del nord del mondo”. Anche in Italia: di loro si è parlato durante un convegno, tenutosi poche settimane fa, dove gli esperti hanno confermato che “sono 152 milioni – e circa 300 mila in Italia – i bambini che, anziché giocare e andare a scuola, sono vittime dello sfruttamento e del lavoro minorile. Sono circa 25 milioni – e 140 mila in Italia – i lavoratori privati della loro libertà e sfruttati in forme moderne di schiavitù”.
Entrambe le forme di sfruttamento minorile considerate dall’UNICEF (child labour – sfruttamento economico in condizioni nocive per il benessere psico-fisico del bambino,  e children’s work, una forma di attività economica più leggera e tale da non pregiudicare l’istruzione e la salute del minore) rientrano tra gli obiettivi dell’Agenda da raggiungere entro il 2030. I numeri tuttavia confermano che questo risultato è lontano da poter essere raggiunto: in molte zone rurali e impoverite del mondo, così come in zone meno povere, i bambini diventano anelli della catena di produzione di prodotti a bassissimo costo, venduti poi in tutto il mondo nella più totale indifferenza da parte dei compratori nei paesi “sviluppati”. L’impiego di manodopera minorile si registra in modo massiccio nella produzione alimentare, nel tessile ma anche nell’estrazione mineraria e nell’assemblaggio non organizzato. In Thailandia, dove il 32% dell’intera forza lavoro è costituito da minori. Nelle Filippine, dove i minori che lavorano sono 2.200.000. O in India dove sono tra 55 e 60 milioni. O in Nepal, dove il 60% dei bambini svolge lavori che impediscono il loro sviluppo. E poi in Bangladesh (15 milioni), in Nigeria (12 milioni di minori) e in Pakistan dove sono 8 milioni i bambini ridotti in schiavitù per debiti. O in Perù dove il 20% dei lavoratori nelle miniere ha fra 11 e 18 anni. E in Egitto dove lavorano 4 milioni di bambini, per cui non sorprende che il secondo paese di provenienza dei minori stranieri non accompagnati giunti in Italia sia proprio l’Egitto. O il Brasile dove sono almeno 7 milioni i bambini costretti a lavorare. In occidente poi, come in molte metropoli asiatiche o africane, si sta diffondendo sempre più anche il lavoro di strada: bambini che cercano di sopravvivere raccogliendo rifiuti da riciclare o vendendo cibo e bevande.
Come in molti altri casi, anche per lo sfruttamento minorile le promesse e gli accordi sottoscritti a livello internazionale non sembrano essere serviti a molto: nel 1999, l’ILO introdusse la Convenzione relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile (C182 – Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile, entrata in vigore il 19/11/2000).
Un documento nel quale i firmatari promettevano di fare di tutto per “individuare e denunciare le forme peggiori di lavoro minorile”; di impedire che i minori intraprendano le forme peggiori di lavoro minorile o sottrarli ad esse, proteggerli dalle rappresaglie, garantire la loro riabilitazione e il loro reinserimento sociale mediante provvedimenti che tengano conto delle loro esigenze formative, fisiche e psicologiche; di prendere in particolare considerazione i minori di più tenera età, i minori di sesso femminile e il problema del lavoro svolto in situazioni che sfuggono agli sguardi di terzi, in cui le ragazze sono esposte a rischi particolari; di individuare le comunità nelle quali i minori sono esposti a rischi particolari, entrare in contatto diretto e lavorare con esse. Ultimo ma non ultimo l’accordo prevedeva anche l’obbligo di “informare, sensibilizzare e mobilitare l’opinione pubblica ed i gruppi interessati, compresi i minori e le loro famiglie” per ridurre il numero degli schiavi bambini.
Un comma, quest’ultimo che pare essere stato dimenticato dalla memoria di molti. A cominciare dai governi di paesi come Italia, Francia o Usa. Perfino il Papa, che lo scorso hanno aveva dedicato un tweet (meglio che niente) alla Giornata mondiale contro la piaga dello sfruttamento e della schiavitù dei più piccoli, “Chi si prende cura dei piccoli sta dalla parte di Dio e vince la cultura dello scarto. Liberiamo i bambini da ogni forma di sfruttamento”, pare essersi dimenticato di loro.
E mentre gli occhi e le orecchie di tutti sono puntati sull’incendio della cattedrale di Parigi, che fortunatamente non ha causato morti né feriti, nessuno sembra voler spendere una parola per i milioni i bambini vittime di moderne forme di schiavitù. Bambini la cui vita è messa in pericolo ogni giorno.