Pena di morte: 37 esecuzioni in Arabia Saudita. Una pratica adottata in diversi paesi

2738 i condannati nel braccio della morte delle carceri Usa.

di C. Alessandro Mauceri

In Arabia Saudita sono state eseguite 37 condanne a morte. A dare la notizia è stato il ministero dell’Interno di Riad. Le pene capitali sono state decise dai tribunali di Mecca, Medina, della provincia centrale di Qassim e della Provincia Orientale, dove è forte la minoranza sciita del paese. Come se non bastasse pare che almeno una di queste condanne sia stata seguita attraverso la crocifissione, secondo quanto scrive l’Agenzia stampa saudita (Spa), avvenuta dopo l’esecuzione, una punizione riservata a reati particolarmente gravi, mentrele altre condanne a morte sarebbero state eseguite in modo “tradizionale”, cioè per decapitazione. I reati per cui sono condannati vertono perlopiù sul terrorismo, l’omicidio e lo stupro, ma molti dei giustiziati sono membri della comunità sciita, da tempo al centro di scontri con il regime del paese, a stragrande maggioranza sunnita. Sono stati giudicati colpevoli di reati come aver “adottato pensieri estremisti”, aver “appoggiato il terrorismo e formato cellule per colpire e destabilizzare il Paese” o di “cooperare con partiti ostili in un modo che ha danneggiato gli alti interessi della madrepatria”.
Adam Coogle, della sede locale di Human Rights Watch, ha riferito che, delle persone giustiziate, almeno 33 erano sciiti sauditi. 11 erano stati arrestati nel 2013 e accusati di spionaggio a favore dell’Iran, 14 sono stati arrestate in relazione alle proteste contro le autorità saudite del 2012. Alcuni degli avvocati difensori avevano denunciato anche le procedure adottate che avrebbero impedito l’accesso ai fascicoli del caso e limitato i contatti dei legatli con i loro clienti. Alcuni dei condannati a morte inoltre avrebbero confessato la propria colopevolezza (in seguito ritirate in tribunale) solo a seguito di torture, come ha ribadito Coogle, “In linea di principio, nessuna di queste persone ha avuto avvocati durante le indagini, quindi tutti questi casi sono ingiusti”.
Dall’inizio dell’anno, in Arabia Saudita sono state 104 le esecuzioni capitali, con un trend crescente rispetto allo scorso anno quando furono complessivamente 149.
Di queste esecuzioni ha parlato anche il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif che, rivolgendosi direttamente agli USA, ha condannato il silenzio dell’amministrazione Trump: “Dopo un ammiccamento allo smembramento di un giornalista (Khashoggi, ndr), non un sussurro dell’amministrazione Trump quando l’Arabia Saudita decapita 37 uomini in un giorno – anche crocifiggendo due giorni dopo Pasqua”, ha scritto Zarif su Twitter.
Sono anni che i due paesi, Iran e Arabia Saudita, si accusano reciprocamente di voler “destabilizzare” la regione e di interferire negli affari l’uno dell’altro. Nel 2016 l’Arabia Saudita aveva eseguito 47 condanne a morte di persone condannate per “terrorismo” tra cui il religioso sciita Nimr al-Nimr. in risposta a ciò in Iran alcune sedi diplomatiche saudite erano state attaccate durante manifestazioni di protesta.
Anche l’Iran però non è immune da critiche in tema di condanne a morte: lo scorso anno, a gennaio, è stato impiccato Ali Kazemi, condannato a morte per per aver accoltellato a morte un uomo durante una rissa. Il fatto è che nel momento in cui avrebbe commesso il reato Kazemi aveva solo 15 anni, era minorenne. Ciò nonostante le autorità iraniane della provincia di Busher hanno deciso di eseguito la condanna a morte, peraltro pare senza informare l’avvocato di Kazemi, come prevede la legge iraniana. Un caso, quello di Ali Kaziemi, tutt’altro che unico nel paese.
Quello delle esecuzioni capitali è un tema ancora scottante, ma di cui si parla poco. Una situazione per certi versi esemplare di come vadano le cose a livello globale e di come vengano rispettate certe direttive internazionali. Basti pensare che il 17 dicembre 2018, per l’ennesima volta, un numero record di stati membri delle Nazioni Unite (121 su 193, 35 hanno votato contro e 32 si sono astenuti) ha ribadito la volontà di abolire le pene capitali e ha sottoscritto la risoluzione chiave dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che chiedeva per la settima volta una moratoria sulle esecuzioni in vista dell’abolizione definitiva della pena di morte. Tuttavia nessuno è riuscito a far cessare le esecuzioni capitali. In Arabia Saudita, in Iraq, ma anche in paesi sviluppati e paladini dei diritti umani come gli USA, dove pare che la maggioranza della popolazione, il 56%, sia favorevole alla pena di morte. Contro la moratoria, oltre ad alcuni paesi africani e asiatici, hanno votato Arabia Saudita e Iran, ma anche Cina, India, e paesi “sviluppati” come Giappone e USA. Proprio nel paese a stelle e strisce sono 2738 le persone detenute nel braccio della morte, condannate e in attesa di esecuzione.