Piano Mattei. Il contenitore c’è, ma gli africani aspettano (prudentemente) il contenuto

di Enrico Oliari

Continua a far discutere il Piano Mattei, l’iniziativa dell’Italia di cooperazione con l’Africa in previsione della presidenza del G7. Oggi è stato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso a difendere il piano dalle critiche che si sono sollevate e che stanno girando sui media, affermando che ”siamo solo all’inizio di un percorso, altri si aggiungeranno a noi e altre risorse potranno essere attivate”. Perché la presentazione di due giorni fa al Senato fatta dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni agli esponenti di diversi paesi africani è parsa come un contenitore ancora da riempire.
L’idea prevede una cooperazione con investimenti in diversi settori: dall’Italia arriverebbero 5 miliardi e mezzo di euro divisi tra crediti, cessioni a fondo perduto e garanzie; denaro che proverrebbe per 3 miliardi dal Fondo italiano per il clima e per 2,5 dal fondo per la Cooperazione allo sviluppo, ma già la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha definito il piano come un’integrazione dell’”European Global Gateway da 150 miliardi di euro”, poiché “gli interessi e i destini di Africa ed Europa sono in linea più che mai”. La presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola ha affermato che “Quando l’Africa prospera, l’Europa prospera e il mondo prospera”.
Il piano, definito di cooperazione e “non predatorio” da Meloni, interessa 9 paesi nel quadro di un progetto pilota, ovvero Tunisia, Marocco, Algeria, Egitto, Costa d’Avorio, Etiopia, Mozambico, Kenya e Repubblica Democratica del Congo, e riguarda un ventaglio di settori tra qui quello fondamentale delle forniture di gas.
Tuttavia è quel “non predatorio” a dire molte cose, dopo secoli di colonialismo e neocolonialismo in cui l’Africa è stato il continente da saccheggiare per far star bene gli europei. L’intento di Meloni è quello di mettersi di mezzo alla corsa di Russia e Cina in Africa, ma sono proprio quei paesi a lungo sfruttati a non fidarsi e a guardare a Mosca e a Pechino, magari a seguito di colpi di Stato provocati da situazioni socialmente insostenibili. Il Niger per esempio è stato per decenni il serbatoio di uranio e di altre risorse della Francia, ma la popolazione è rimasta poverissima, con un reddito pro capite di 40 euro al mese; in Gabon il pil pro capite è decisamente superiore, ma la democraticissima Francia ha assicurato la morsa dei Bongo, padre e figlio, dal 1965 al 2003; in Mali il governo militare ha espulso i francesi e persino la missione dell’Onu, ma anche il Burkina Faso è stato ben ripulito delle sue risorse dagli europei, con la popolazione costretta alla miseria (70 euro al mese).
Così la Nigeria, invitata a far parte del Piano Mattei, si è defilata, mentre il presidente della Commissione dell’Unione Africana Moussa Faki ha affermato a Roma che “avremmo auspicato di essere consultati. L’Africa è pronta a discutere i modi e le modalità di attuazione del programma. Insisto però sulla necessità di passare dalle parole ai fatti, perché non bastano più le promesse, spesso non mantenute”.
L’Italia cerca insomma di riguadagnare la propria influenza in Africa alla luce di una cooperazione conveniente per tutti, ma da parte degli africani resta molta, molta prudenza.
Così, intervistato per La Stampa, Urso ha precisato che il Piano “supera sia la visione tardo colonialista, moralmente riprovevole, sia quella caritatevole, largamente insufficiente. Noi puntiamo alla partnership culturale, tecnologica, industriale, quindi anche politica”.
Resta da vedere la reazione (e la lealtà al piano) degli altri Paesi europei, prima di tutto di quella Francia che in Africa ha sempre padroneggiato e che nel 2011 ha distrutto l’influenza italiana in Libia (Meloni era ministro del governo Berlusconi).