Possibile impatto di una Hard Brexit sul valore aziendale delle imprese italiane

Studio elaborato da Duff & Phelps * –

L’export italiano verso il Regno Unito
Le esportazioni di merci dall’Italia verso il Regno Unito sono ammontate a oltre 23 miliardi di Euro nel 2017, in crescita del 3,4% rispetto all’anno precedente. L’andamento dell’export aveva visto un forte calo nel 2008 e 2009, in seguiti alla crisi economica mondiale, ma aveva segnato un buon recupero già nel 2010 e da allora è cresciuto ad un tasso medio annuo composto (CAGR) del 4,0%.

Il settore più rilevante per le esportazioni italiane verso il Regno Unito è costituito da quello dei macchinari e apparecchiature, con un peso del 13,4% sull’export totale di merci del 2017 verso tale paese, seguito da quello degli autoveicoli, con un peso dell’11,3%, da quello dei prodotti alimentari, con un peso dell’8,7%, e da quello degli articoli di abbigliamento, con un peso dell’6,7%.

I possibili effetti sull’export derivanti da una Hard Brexit.
Nel caso in cui, in seguito all’effettivo realizzarsi della Brexit, non si raggiungesse alcun accordo tra l’Unione Europea e il Regno Unito (cosiddetta “Hard Brexit”), i rapporti commerciali sarebbero regolati dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), che prevede l’applicazione della clausola della “nazione più favorita” (Most Favoured Nation, Mfn), che impone un divieto di discriminazione: ogni stato si impegna ad accordare a ogni altro lo stesso trattamento concesso a tutti i paesi con cui non esistono specifici accordi commerciali bilaterali.
Secondo uno studio della Banca d’Italia (1), il passaggio ad un regime commerciale basato sulle tariffe Mfn nei rapporti con il Regno Unito comporterebbe per l’Italia dazi elevati per alcuni settori rilevanti come quelli dell’alimentare, con un dazio medio del 13,0%, dell’abbigliamento, con un dazio medio dell’11,0%, e degli autoveicoli, con un dazio medio dell’8,8%, mentre risulterebbe poco penalizzato il principale settore esportatore dell’Italia nel mercato britannico, quello dei macchinari e apparecchiature, in quanto caratterizzato da un dazio medio relativamente basso, pari al 2,1%.
Considerando quindi l’export dei singoli settori fornita dall’Istat e i dazi medi applicabili a ciascun settore in base alle tariffe Mfn, in caso di Hard Brexit l’ammontare dei dazi sulle merci italiane esportate nel Regno Unito sarebbe pari a quasi 1,3 miliardi di euro, per effetto di un dazio medio tra tutti i settori di circa il 5%, che potrebbe tradursi nel caso di un’elasticità unitaria della domanda in una riduzione di pari ammontare dell’export italiano annuo verso il Regno Unito.
Al fine di stimare correttamente l’impatto di medio termine di una Hard Brexit, bisogna però considerare anche l’impatto delle barriere non tariffarie (Non-Tariff barriers, NTB), ossia barriere commerciali che limitano le importazioni o le esportazioni di beni o servizi attraverso meccanismi diversi dalla semplice imposizione di tariffe, quali quote di importazione, sussidi, ritardi doganali, ostacoli tecnici o altri meccanismi che impediscono o ostacolano gli scambi. Secondo uno studio del German Economic Institute (IW) di Colonia (Germania) (2), se si considerassero anche le barriere non tariffarie, tenuto conto anche delle stime dell’elasticità della domanda nei diversi settori dell’export italiano verso il Regno Unito, in caso di Hard Brexit l’ammontare dell’export dell’Italia verso il Regno Unito nel medio termine potrebbe ridursi nello scenario peggiore addirittura di un ammontare compreso tra un terzo e la metà. Questo comporterebbe in tale scenario una riduzione dell’export dell’Italia verso il Regno Unito per un ammontare compreso tra circa 7,5 e circa 11 miliardi di euro annui.

I possibili effetti sul valore aziendale delle aziende esportatrici derivanti da una Hard Brexit.
Se si considera l’ammontare dell’export italiano 2017 verso il Regno Unito, i margini operativi lordi (EBITDA) medi 2017 delle imprese italiane operanti in tali settori di export, e i multipli di mercato EV/EBITDA medi di tali settori risultanti dalle quotazioni di borsa correnti, si può stimare che l’export italiano verso il Regno Uniti generi un valore aziendale per le aziende italiane pari a circa 22,4 miliardi di Euro.
Applicando quindi le riduzioni attese nell’export verso il Regno Unito in caso di Hard Brexit secondo gli scenari illustrati sopra, ossia pari, nel breve periodo, all’ammontare dei dazi medi dei diversi settori (mediamente pari al 5% del valore delle esportazioni), assumendo l’ipotesi semplificata di elasticità unitaria della domanda, e nel medio periodo pari allo scenario peggiore (worst case) che include anche l’effetto delle barriere non tariffarie e un calo stimato tra un terzo e la metà del valore delle esportazioni (con valore medio del 40%), tale valore aziendale potrebbe calare nel breve periodo fino a circa 21,3 miliardi di Euro, con un calo di circa 1,1 miliardi di Euro, e nel medio periodo fino a circa 13,5 miliardi di Euro, con un calo complessivo pari a circa 8,9 miliardi di Euro.

Considerando che la capitalizzazione delle società italiane quotate al mercato telematico azionario (MTA) di Borsa Italiana, escluse le 40 società maggiori appartenenti all’indice FTSE MIB, ammonta a circa 120 miliardi di Euro, per un totale di circa 200 aziende, tale perdita di valore aziendale corrisponderebbe alla perdita di quasi 2 società quotate nel breve periodo e fino a quasi 15 società quotate nello scenario peggiore nel medio periodo.

A commento dei principali risultati di questo studio, Enrico Rovere, Managing Director, Duff & Phelps (di cui ti allego anche una foto) ha dichiarato che “L’impatto di una possibile Hard Brexit potrebbe essere ancora più alto se non la si analizza come fenomeno a sé stante, ma se invece se ne considerano le conseguenze all’interno dell’attuale contesto competitivo, in cui si va ad aggiungere ad altri fattori critici (dal duello sulle tariffe tra Stati Uniti e Cina, all’alta volatilità del mercato, fino al generale rallentamento dell’economia). In questa prospettiva più ampia, le aziende italiane – in particolare quelle operanti nel settore alimentare, che risentono delle problematiche di confine, nel farmaceutico, in relazione agli aspetti della logistica, nell’elettronica e nell’automotive, legati alle grandi esportazioni e a lavorazioni integrate – dovrebbero cercare di sviluppare un approccio attivo per fronteggiare questo momento particolarmente teso e incerto, anche auspicando una risposta decisa da parte delle istituzioni in sede d’Unione Europea, che si traduca in decisioni in grado di incentivare e promuovere un contesto di libero scambio, sfruttando così i vantaggi competitivi, e una maggiore unione politica, sostenendo iniziative di sviluppo e contrastando l’attuale tendenza protezionistica.”

Note:
– 1 Cappariello R. (2017), Brexit: estimating tariff costs for the EU countries in a new trade regime with the UK, in Banca d’Italia, “Questioni di Economia e Finanza”, n. 381, giugno.
– 2 Michael Heither, Matthias Diermeier, Markos Jung, Andrew Bassilakis (2018), “If Nothing is Achieved: Who Pays for the Brexit?”, in Intereconomics 2018.

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