Putin e Erdogan in Iran: dall’isolamento al multipolarismo

di Enrico Oliari

Il presidente russo Vladimir Putin e quello turcho Recep Tayyp Erdogan si sono recati oggi in Iran per un incontro con il collega Ebrahim Raisi. In programma anche un incontro con la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. Sul tavolo una serie di temi che spaziano dalla cooperazione militare, con la Russia disposta ad acquistare 400 droni da inviare nel conflitto ucraino, ai curdi, alla Siria.
L’evento rappresenta in qualche modo la risposta russa al recente viaggio di Joe Biden nel Golfo, ma i tre paesi sono uniti a partire dalla questione siriana, con accordi e intese che hanno permesso al presidente siriano Bashar al-Assad di riprendere gran parte del paese cedendo però sul fronte settentrionale, dove Erdogan ha esteso una zona cuscinetto e dove sta combattendo i curdo-siriani per scongiurare i loro contatti con i curdo-turchi, in particolare con il Pkk.
I curdi, che nella lotta all’Isis sono stati determinanti sia in Iraq che in Siria, si trovano oggi alla mercé dei tre leader e abbandonati dall’occidente, schiacciati dalla storia e dagli eventi: se per Putin si tratta di una questione marginale, a Teheran parla per conto di al-Assad (Kurdistan siriano – Rojava); Raisi ha il problema dei rivoltosi curdi dell’Iran (Rojalat); Erdogan non da oggi cerca di portare al silenzio quella che è la più grande minoranza del paese, al punto di aver fatto arrestare con la traballante accusa di terrorimo, esponenti e deputati dell’Hdp, il partito curdo fondato da Selehattin Demirtas.
Altro tema è il nucleare iraniano, con gli Usa sostanzialmente restii a togliere le sanzioni fino a che l’Iran non farà un passo indietro, mentre a Teheran si vorrebbe che per ripristinare il Jpcoa fossero Washington a fare la prima mossa.
Venendo al vertice il presidente turco ha annunciato l’intenzione di lavorare per lo sblocco del grano ucraino, ma da parte russa continuano a essere pretese garanzie per contrastare il traffico di armi verso l’Ucraina, e soprattutto Putin ha insistito che prima dovranno essere tolti i blocchi all’esportazione del grano russo.
Russia ed Iran sono accomunati dalle sanzioni dell’occidente, ma proprio la politica del muro contro muro sta spingendo i vari blocchi ad associarsi, contribuendo al consolidarsi del multipolarismo.
Tant’è che sanzioni o non sanzioni, la Gazprom russa e la controparte iraniana hanno siglato un maxi-accordo di 40 miliardi di dollari di investimenti per la produzione del gas della Repubblica Islamica, nella fattispecie per lo sviluppo di sette giacimenti tra cui quello offshore del North Pars, che da solo vale un tera e mezzo di gas. Da parte iraniana è stata espressa soddisfazione per l’accordo, ma è stato anche detto che il fabbisogno di investimenti per sviluppare il gas iraniano è di 160 miliardi di dollari. Una mossa, quella russa, che si mette di traverso alle speranze dell’Unione Europea di stringere accordi con la Repubblica Islamica per sostituire il gas russo con quello iraniano, magari sfruttando il progetto di qualche anno fa, poi cassato su volere di Donald Trump, di collegare i tubi al Tanap / Tap.
Il vertice di Teheran, come pure l’autonomia cinese e l’area Brics, è la dimostrazione che l’atlantismo fine a se stesso ha fatto il suo tempo, e che la politica dell’isolamento e delle sanzioni, preferita da Bruxelles a quella del dialogo, è alla fine un boomerang: chiudere la porta agli attori internazionali, per quanto sgraditi, significa solo spingerli ad aprirne altre.