Putin e Trump come Churchill e Stalin: contro l’Europa

di Filippo Sardella

Quanto avvenuto ad Helsinki lo scorso 16 luglio tra il presidente Statunitense Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin, potrebbe essere definito un evento di portata storica; l’ultimo confronto in cui Stati Uniti e Russia si erano ritrovati a far fronte comune contro un possibile nemico risale all’11 febbraio del 1945, a Jalta.
L’incontro di metà luglio ad Helsinki assume un’ulteriore valenza storica e ricca di significato: fu la stessa capitale finlandese nel 1975 ad essere sede di un altro storico avvenimento durante il quale i protagonisti, USA ed URSS, firmarono quell’Atto Finale della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che diede una forte e significativa spallata alla caduta della più forte e stringente ideologia comunista, dando inizio così a relazioni diplomatiche più distese tra le due potenze.
Inoltre un ulteriore aspetto ricco di significato dell’incontro tenutosi ad Helsinki risiede nel fatto che, ancora una volta, il nemico comune da abbattere per i presidenti Trump e Putin, come già avvenuto 73 anni or sono, risiede nel cuore dell’Europa ed ancora una volta risponde al nome di Germania.
“E’ l’Europa il nostro nemico”, sottolinea Trump; quell’Europa non delle nazioni o dei popoli, ma quell’Europea che sta divenendo sempre più “Germ-europa”
Il presidente statunitense del resto non ha mai nascosto quanto sia indisposto dal ruolo eccessivamente di primo piano che la nazione tedesca sta assumendo nel continente, e la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel fa di tutto pur di non nasconderlo; a metà giugno Merkel aveva affermato che la Germania avrebbe aumentato gradualmente le spese per la difesa in 10 anni; nel 2019 il budget militare tedesco sarebbe stato dell’1,34% del Pil e nel 2025 sarebbe salito fino all’1,5%. Inoltre prima dell’ultimo vertice della Nato dell’11 luglio, dichiarava con preoccupazione che “Dobbiamo concentrarci attivamente sulla difesa dell’Alleanza e prendere i provvedimenti opportuni, ad esempio tramite la presenza nell’Europa centrale e orientale”.
L’interesse di Trump nel demolire la struttura dell’Unione, in linea di intenti con Putin, risiederebbe nel fatto che l’Ue vuole uscire dal ruolo di subalternità a Washington che i precursori statunitensi sognavano e le avevano assegnato fin dai suoi albori.
Gli Stati Uniti non hanno mai nascosto che la creazione di un’Europa unita e da loro controllata fosse la premessa della propria politica estera e per costruirla si sono serviti della Nato. Dal Secondo dopo guerra in poi ogni Paese europeo che volesse entrare a far parte del processo di integrazione economico-politico europeo è prima dovuto diventare membro dell’Alleanza Atlantica; inoltre nei primi Anni ’50 le forme di integrazione europea, cioè la CED e la CECA che furono l’anticamera dell’attuale Ue, si realizzarono in un sistema in cui l’economia europea era fortemente vincolata a quella americana, motivo per cui esse erano e saranno in seguito sempre promosse dagli Stati Uniti e seguiranno le regole dettate da Washington.
Da un punto di vista politico la nascita dell’Ue si ha in un momento di grande tensione, in cui la guerra con l’Unione Sovietica sembrava inevitabile, e a Washington diventava sempre più concreta l’idea di far diventare l’Europa un continente alla “sud americana” , ovvero un gruppo di stati facilmente manovrabili e sottomessi, pronti a rispondere ad un eventuale attacco sovietico. Per gli Stati Uniti era un’idea troppo allettante per lasciarla decadere.
Gli avvenimenti della prima parte degli anni Novanta generati dalla caduta del Muro di Berlino, la forte presidenza di Putin nelpeiodo immediatamente successivo e l’unificazione monetaria avvenuta nei primi anni Duemila, hanno ricollocato l’Europa ad un ruolo più centrale e meno marginale sul piano internazionale, condizioni queste che hanno fatto si che l’Unione Europea uscisse da una condizione di subalternità e divenisse un competitor politico e sopratutto economico da cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto iniziare a prendere le distanze.
Per quanto riguarda Putin, l’ipotesi di disintegrazione politica dell’Unione Europea sarebbe un modo per riuscire ad aumentare la propria influenza, già in crescita negli ultimi anni, nei paesi dell’area dell’Europa centro-orientale, in modo tale da (ri)stabilire con essi dei partenariati commerciali, dove il ruolo energetico e del gas assumerebbe un valore fondamentale per il Cremlino, sperando di stabilizzare un’economia basata sull’export, che per quanto sia risultato in crescita negli anni non è ancora ai livelli di una potenza mondiale, come aspira a diventare la Russia.
In questo gioco di alleanze e contrapposizioni non manca il ruolo dell’Unione Europea., che volendo giocare forse di anticipo all’incontro di Helsinki, lo stesso 16 luglio ha in qualche modo chiesto aiuto alla Cina, mandando quegli emissari più fedeli alla causa europeista, il capo della Commissione Jean-Claude Juncker e il presidente del Consiglio Donald Tusk.
Per riuscire a far fronte comune contro un Trump prima nemico della Cina e adesso dell’Europa, durante il 20mo summit Eu-China tenutosi per l’appunto a Pechino, Juncker e Tusk, ricevuti dal premier cinese hanno siglato 6 accordi tra Ue e Cina, al centro dei quali ci sono scambi commerciali e investimenti.