di Enrico Oliari –
Se non ci fossero la serietà del momento e la guardia d’onore ben allineata in piazza Sukhbaatar, ci sarebbe da ridere a leggere oggi le richieste di Bruxelles, provincia di Washington, alle autorità mongole di arrestare il presidente russo Vladimir Putin. Il capo del Cremlino è arrivato ieri a Ulan Bator in visita ufficiale, e oggi ha incontrato il presidente mongolo Ukhnaagiin Khurelsukh nel quadro del rafforzamento della cooperazione bilaterale e delle relazioni diplomatiche. Con lui il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, il vice primo ministro Alexei Overchuk, responsabile dell’Integrazione euroasiatica e dei rapporti con Brics, Cis e G20, i ministri dello Sport, dei Trasporti, dell’Energia e delle Risorse naturali, e rappresentanti delle grandi aziende statali.
Mentre le fanfare suonavano gli inni nazionali, dall’Unione Europea si pretendeva che “La Mongolia, Stato parte dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale dal 2002, deve dare seguito agli ordini previsti”, ovvero provvedere all’arresto di Vladimir Putin. “Abbiamo espresso – ha insistito il portavoce dell’Unione Europea – la nostra preoccupazione per la visita e dichiarato chiaramente la nostra posizione nei confronti della CPI attraverso la nostra delegazione in Mongolia”, “L’Ue sostiene le indagini del procuratore della Corte penale internazionale in Ucraina e chiede la cooperazione di tutti gli Stati contraenti”.
Che la Corte penale internazionale sia diventata ormai un organo politico e non indipendente è sotto gli occhi di tutti, ed è proprio il mandato d’arresto nei confronti di Vladimir Putin a indebolire la serietà dello Statuto di Roma: il presidente russo è infatti accusato dall’Ufficio del procuratore di aver commesso crimini di guerra per aver organizzato deportazioni di abitanti dell’Ucraina occupata, e di aver illegalmente trasferito parte della popolazione, in particolare bambini, della nazione occupata nel territorio del proprio Paese.
Tradotto significa che le autorità russe, d’accordo con quelle delle autoproclamate repubbliche del Donbass (riconosciute dalla Russia), hanno sfollato e messo al sicuro parte della popolazione di etnia russa, spesso con famigliari in Russia, lontano dai bombardamenti e dai combattimenti.
Tuttavia nel quadro russofobico, che essendo un’espressione politica non dovrebbe competere la Corte penale internazionale, il procuratore ha ordinato il mandato d’arresto per Vladimir Putin.
E’ poi il doppiopesismo acclarato a dare il colpo di grazia alla CPI, riconosciuta da 125 nazioni su 195: l’Alta corte di giustizia dell’Onu, che ha giurisdizione globale, ha spiccato in maggio il mandato d’arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità. Però, siccome i bambini ucraini sono esseri umani di serie A, mentre i bambini palestinesi lo sono di serie B e soprattutto non servono per l’allargamento della NATO, dalla CPI è arrivato solo un assordante silenzio nei confronti di Netanyahu.
Se la Russia, come gli Usa e Israele, non riconosce la CPI, la Mongolia ha aderito allo Statuto di Roma nel 2002, ma di certo le autorità mongole si sono ben guardate di far scattare le manette ai polsi del presidente nonché vicino di casa Vladimir Putin. Meglio far finta di niente, anche se ora con tutta probabilità arriverà dall’Aja una constatazione per la “mancata collaborazione” e verrà informata l’Assemblea degli Stati parte, che potrebbe assumere misure appropriate”. Tradotto significa che se all’Aja qualcuno avrà da ridire, Ulan Bator se ne fregherà bellamente e uscirà dallo Statuto di Roma.