Qatar. World Cup e violazioni dei diritti umani: perché il mondo sta protestando

di Elena Garavello

20 novembre 2022, questa è la data che segnerà l’inizio dei Mondiali di calcio in Qatar, i primi a svolgersi in Medio Oriente, i quali termineranno il 18 dicembre. Dal 2010 a oggi il Qatar ha intrapreso una massiccia opera di costruzione delle infrastrutture necessarie per lo svolgimento della World Cup. La realizzazione di 6 stadi (e l’ampliamento di altri 2), di una nuova metropolitana, di numerosi hotel e l’espansione dell’aeroporto internazionale di Doha rendono quella del Qatar la Coppa del Mondo più costosa della storia.
Dunque, tutti gli occhi sono puntati su questo Emirato, tuttavia il calcio non è l’argomento che maggiormente interessa l’opinione pubblica internazionale: sfruttamento di lavoratori stranieri, condizioni di lavoro disumane, morte di migliaia di operai, queste sono le principali accuse rivolte al Qatar da schiere di reporters da tutto il mondo, da ONG che si occupano di diritti umani ma anche da importanti personalità del mondo della politica e dello spettacolo. Dietro questi avvenimenti si nascondono innumerevoli storie di famiglie devastate, lasciate da sole a lottare per ottenere un risarcimento che per ora nessuno vuole concedere e senza alcuna notizia sulle circostanze della morte di un loro caro.

Abuso dei lavoratori migranti.
Secondo le stime di Amnesty International sono circa 100mila i lavoratori che hanno sofferto abusi negli ultimi 12 anni in Qatar.
Il numero ufficiale di morti durante la preparazione dei Mondiali del 2022 ammonta a tre. O perlomeno ciò è quanto sostenuto dalle autorità qatariote e da Gianni Infantino, presidente della FIFA o Fédération Internationale de Football Association.
Tuttavia, secondo il quotidiano britannico The Guardian, i lavoratori morti tra il 2010 e il 2021 sono ben 6.500 e si tratta principalmente di operai provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka.
Le cause di morte più comuni sono le cosiddette “morti naturali”, spesso attribuite a insufficienza cardiaca acuta o respiratoria. Tuttavia, nella maggior parte dei casi non si è riuscito a fornire una spiegazione medica legittima per queste morti e tantomeno si è deciso di procedere con un’autopsia per ulteriori accertamenti.
Dei 18 certificati di morte esaminati da Amnesty International, 15 non hanno fornito informazioni sulle cause alla base del decesso, limitandosi a espressioni vaghe quali “grave crisi cardiaca originata da cause naturali”, “non precisata crisi cardiaca” o “acuta crisi respiratoria originata da cause naturali”.
Uno dei principali rischi per la salute dei lavoratori migranti in Qatar, largamente documentato e sicuramente prevedibile, è dato dall’esposizione a temperature estreme e a tassi elevati di umidità, durante turni di lavoro che vanno dalle 14 alle 18 ore al giorno.
Una ricerca commissionata dall’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite ha rivelato che per almeno quattro mesi all’anno i lavoratori hanno affrontato un significativo stress da calore.
Inoltre, gran parte dei lavoratori migranti deceduti godevano di ottima salute e avevano superato gli esami medici obbligatori prima di partire per il Qatar. Tra questi, ad esempio, c’era Manjur Kha Pathan, 40 anni, alla guida di un camion per 12-13 ore al giorno, il quale si è sentito male nel suo alloggio il 9 febbraio 2021 ed è morto prima che potesse arrivare l’ambulanza, dopo essersi lamentato perché l’impianto di aria condizionata non funzionava più. Oppure Tul Bahadur Gharti, operaio edile, morto nel sonno il 28 maggio 2020 dopo aver lavorato per circa dieci ore con una temperatura di 39 gradi. Infine, Yam Bahadur Rana, guardia di sicurezza in un aeroporto, obbligato a rimanere seduto per lunghe ore sotto il sole, morto sul lavoro il 22 febbraio 2020. Nessuna delle famiglie di queste vittime ha ancora ricevuto un risarcimento.
Uno studio del 2019 su una rivista medica ha concluso che almeno 200 delle 571 morti dei lavoratori nepalesi durante il periodo 2009-2017 avrebbero potuto essere prevenute con efficaci misure di protezione dal calore. “Sappiamo che i lavoratori sono sottoposti a valutazioni mediche prima di lasciare i loro paesi d’origine e all’arrivo”, afferma Isobel Archer, del Business & Human Rights Resource Centre, “eppure sappiamo che ci sono stati molti decessi tra giovani precedentemente in forma e sani su una scala tale che sarebbe sorprendente in qualsiasi altro contesto”.

Divieto di protesta e nessuna libertà di espressione.
In Qatar è impossibile lottare collettivamente per migliori condizioni sul posto di lavoro, dal momento che i lavoratori migranti non possono formare sindacati né aderirvi. Inoltre, cittadini e lavoratori stranieri rischiano ripercussioni, tra cui l’arresto e l’espulsione, anche solo per esercitare il proprio diritto alla libertà di manifestazione.
Il lavoro forzato domina ancora. Il pagamento di somme sproporzionate per ottenere un impiego (da 1000 a 3000 euro) è causa di debiti che per essere estinti richiedono mesi o addirittura anni, contribuendo a intrappolare le famiglie in un ciclo di sfruttamento da cui è difficile uscire.
Nonostante il Qatar abbia attuato delle riforme in materia di lavoro, queste non vengono correttamente attuate o applicate, il che significa che spesso i dipendenti hanno un salario inadeguato e che i datori di lavoro hanno ancora un forte potere sulla vita dei loro lavoratori: possono costringerli a lavorare un numero di ore eccessivo o impedire loro di cambiare lavoro.

La responsabilità della FIFA.
Al momento della scelta di svolgere la Coppa del Mondo in Qatar, la FIFA sapeva, o avrebbe dovuto sapere, dei rischi che ciò avrebbe comportato. Al momento dell’assegnazione dei diritti di hosting nel 2010, alle autorità del Qatar non è stata fatta alcuna richiesta relativa a diritti umani e protezione del lavoro, di conseguenza, anche la FIFA può ritenersi responsabile degli abusi subiti dai lavoratori.
Per questo motivo, secondo l’organizzazione Human Rights Watch, la FIFA ha la responsabilità di identificare e porre rimedio a queste violazioni, in conformità con i principi guida delle Nazioni Unite, che essa ha adottato nei suoi statuti nel 2016, e la sua Human rights Policy.
Amnesty International inoltre ritiene che la FIFA debba mettere a disposizione un importo di ben 440 milioni di dollari (somma che equivale al premio in denaro della Coppa del Mondo) per aiutare a risarcire i lavoratori migranti che sono morti o hanno subito lesioni in Qatar.
Per questo, nel maggio del 2022 Amnesty insieme a una coalizione di altre organizzazioni hanno lanciato una campagna per chiedere di avviare un programma complessivo di rimedi per le centinaia di migliaia di lavoratori vittima di abusi. Questa iniziativa ha ottenuto ampio sostegno da parte di numerose associazioni calcistiche, tra cui quella inglese, francese e tedesca e degli sponsor dei Mondiali.
A poche settimane dall’inizio dei Mondiali, Gianni Infantino ha sollecitato le 32 nazioni finaliste a “concentrarsi sul pallone” e non sulle questioni relative ai diritti umani. Ma non è l’unico a cui i diritti fondamentali dei lavoratori non stanno particolarmente a cuore. Il ministro del Lavoro del Qatar, infatti, aveva liquidato la campagna di Amnesty International come “una trovata pubblicitaria”.