R.D. Congo. Attivista, ‘bisogna ridare al popolo i milioni rubati da Kabila’

Mputu (Cnpav), 'inchiesta ha svelato impunità, avvocati al lavoro'.

Agenzia Dire –

“Stiamo costituendo un team di avvocati che lavorerà per far restituire tutti i beni pubblici sottratti alla popolazione“: a parlare con l’agenzia Dire è Jean-Claude Mputu, responsabile di Le Congo n’Est pas à Vendre (Cnpav), alleanza di 16 ong in prima fila nella denuncia di illeciti milionari riconducibili all’ex presidente Joseph Kabila.
La tesi è che, con l’impegno dei legali, sia possibile allo stesso tempo recuperare risorse e inviare un segnale. “Siamo convinti che l’opinione pubblica, se è informata in modo corretto su come e a beneficio di chi sono utilizzate le risorse pubbliche, può contribuire a lottare contro la corruzione” sottolinea Mputu. “Pretendere la restituzione dei fondi trafugati, sia nel Paese che all’estero, dove sono giunti complice la mancata vigilanza da parte di alcune banche, significa dire che l’impunità qui non ha più posto“.
La base di partenza è “Congo Hold-Up”, un’inchiesta frutto del lavoro di cinque ong e una ventina di testate giornalistiche che hanno vagliato oltre tre milioni e 500mila documenti. Al centro dell’indagine, che scuote ormai da settimane la politica e la società civile a Kinshasa e che ha ripercussioni anche a livello internazionale, c’è l’istituto di credito gabonese Bgfi Bank. Tra il 2011 e il 2018 la sua filiale nella Repubblica democratica del Congo è stata diretta da Francis Selemani Mtwale, un fratello adottivo di Kabila. Sulla base di questa relazione, e anche con un ruolo di intermediari finanziari europei, come la banca svizzera Ubs, sarebbero stati sottratti alle casse pubbliche almeno 138 milioni di dollari.
“In parte questi soldi provengono dalle ricchezze minerarie dell’est del Congo, attraverso la società statale Gecamines“, denuncia Mputu. “Il sistema era strutturato per beneficiare familiari e amici politici di Kabila, un presidente che invece di servire il popolo ha finito per depredarlo“.
Secondo stime delle Nazioni Unite diffuse a novembre, circa 27 milioni di congolesi sono a rischio fame a causa di conflitti e carestie nonostante il Paese sia ricco di coltan e cobalto, minerali fondamentali per l’industria delle auto elettriche e degli smartphone.
A indagare sulle transazioni sospette sono state tra le altre le ong Public Eye e Platform to Protect Whistleblowers in Africa (Pplaaf), la rete European Investigative Collaborations e la testata francese Mediapart. Nell’inchiesta è coinvolta la Sud Oil, una società fittizia con sede legale a Kinshasa. Altro snodo chiave sarebbe stata poi la Bgfi, acronimo di Banque gabonaise et française internationale. Questo istituto di credito, il principale dell’Africa centrale, con circa 2200 dipendenti e filiali in 11 Paesi, ha sede centrale in un Paese governato sin dal 1967 dalla famiglia Bongo, prima con Omar, poi con il figlio Ali.