di Giusepe Gagliano –
La situazione nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) sta precipitando in un contesto che mescola il dramma umanitario con le logiche del grande gioco regionale. Il cessate-il-fuoco annunciato dai ribelli del M23 arriva dopo la presa di Goma, ma più che un gesto di buona volontà appare una mossa strategica per consolidare i territori conquistati e guadagnare credibilità agli occhi della comunità internazionale.
Dietro la sigla dell’M23 c’è la lunga ombra del Ruanda, che da decenni mantiene un’influenza diretta nella regione del Kivu orientale. La presenza di 4.000 soldati ruandesi in territorio congolese, confermata dagli esperti ONU, non è una novità: Kigali ha sempre giustificato le sue operazioni con la necessità di contrastare le milizie hutu legate al genocidio del 1994. In realtà, il controllo su questa porzione della RDC serve agli interessi economici del Ruanda, che da anni sfrutta illegalmente le immense risorse minerarie della regione. Non a caso, il Congo accusa Kigali di saccheggio, mentre la portavoce del governo ruandese ribalta l’accusa sul Sudafrica, insinuando che Pretoria abbia interessi minerari in gioco.
Sul fronte diplomatico, la crisi ha spinto la Comunità dell’Africa Orientale (EAC) e la Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe (SADC) a convocare un vertice straordinario. Un tentativo di ricucire i rapporti tra il presidente congolese Tshisekedi e il suo omologo ruandese Kagame, ma con scarse probabilità di successo. Il Ruanda ha già chiesto il ritiro della missione della SADC, ritenendola una forza d’intervento ostile più che un corpo di pace. Intanto, in Congo, Kinshasa vieta le manifestazioni per il timore di disordini, mentre gli Stati Uniti riducono il personale della loro ambasciata, segnale di un deterioramento rapido della sicurezza.
Dal punto di vista strategico, l’M23 si muove con intelligenza. Il messaggio di non voler proseguire su Bukavu è un modo per stemperare le tensioni e ottenere un vantaggio negoziale. Ma è difficile credere che il gruppo si accontenti di quanto già conquistato, considerando le dichiarazioni recenti del leader Corneille Nangaa, che puntava persino a Kinshasa.
Il quadro generale riflette la solita impasse africana: le grandi potenze guardano con attenzione ma senza volontà di intervenire direttamente, mentre gli attori regionali sfruttano il caos per i propri scopi. Nel frattempo, le vittime sono sempre le stesse: i civili congolesi, intrappolati tra un esercito inefficace, ribelli ben armati e una comunità internazionale più preoccupata di non perdere il controllo sulle risorse strategiche che di risolvere il conflitto.