di Giuseppe Gagliano –
Il ministro degli Esteri del Ruanda, Olivier Nduhungirehe, ha annunciato che un accordo di pace tra Kigali e Kinshasa potrebbe essere firmato a metà giugno a Washington. Obiettivo: fermare la guerra nel Nord Kivu, dove i ribelli dell’M23 hanno dilagato negli ultimi mesi. Regia dichiarata: quella degli Stati Uniti.
Ma al di là dell’etichetta diplomatica, l’iniziativa rischia di essere letta anche come una manovra geopolitica: mettere le mani su una regione chiave per le catene industriali globali, dove si estrae tantalio, cobalto, rame, oro e litio. Minerali critici per batterie, tecnologie verdi e armamenti avanzati.
Il consigliere speciale della Casa Bianca per Africa e Medio Oriente, Massad Boulos, ha confermato di aver ricevuto le bozze dell’accordo da entrambe le capitali. Ha parlato di “passaggio fondamentale” verso l’attuazione degli impegni presi nella dichiarazione firmata il 26 aprile. Ma ha anche chiarito un elemento chiave: l’intesa politica sarà subordinata alla firma di accordi economici bilaterali con gli Stati Uniti. Non solo pace, ma investimenti e concessioni minerarie.
Il piano prevede il finanziamento di progetti infrastrutturali nei due Paesi e la lavorazione dei minerali in Ruanda, dove il governo di Paul Kagame ha già attratto capitali europei e cinesi. In cambio, Kinshasa e Kigali dovrebbero impegnarsi a pacificare la regione e a garantire una governance stabile per le operazioni estrattive. Una pax mineraria sotto tutela occidentale.
Resta però un dettaglio decisivo: l’M23 non è stato invitato ai negoziati. Sebbene il portavoce dell’alleanza ribelle si sia detto aperto a “qualsiasi iniziativa di pace”, il gruppo continua ad avanzare. Negli ultimi giorni ha conquistato Lunyasenge, sul lago Edoardo. Scontri proseguono a Rutshuru e Masisi. La RD Congo si riserva il diritto alla ritorsione.
Il governo congolese accusa il Ruanda di sostenere militarmente l’M23. Kigali nega, denunciando a sua volta la presenza nell’Est della RDC delle FDLR, milizie hutu ritenute eredi dei genocidari del 1994. Le Nazioni Unite, intanto, segnalano la presenza di 4mila soldati ruandesi in territorio congolese.
I negoziati di Washington escludono i protagonisti sul campo e legano la pace a un’agenda economica. Il rischio è quello di un accordo formale, ma fragile, firmato dai governi e non dalle milizie. Un’intesa che, seppur benedetta da Trump, potrebbe diventare solo una cornice diplomatica per la stabilizzazione delle miniere, più che per la pacificazione del territorio.