di Alberto Galvi –
Al termine di un importante processo iniziato alla fine del mese scorso, un tribunale militare della RDC (Repubblica Democratica del Congo) ha condannato a morte 26 persone accusate di coinvolgimento in gruppi armati, tra cui l’M23. Figurano sotto processo il presidente Bertrand Bisimwa dell’M23, il capo militare dell’M23 Sultani Makenga e i portavoce Lawrence Kanyuka e Willy Ngoma.
La RDC è un paese instabile, sconvolto da un conflitto durato oltre 30 anni causato da fattori complessi. Le decine di gruppi ribelli attivi sono l’eredità di un conflitto regionale scoppiato negli anni ’90, dopo la caduta del dittatore Mobutu Sese Seko. Tshisekedi ha accusato il suo predecessore Joseph Kabila di preparare un’“insurrezione” e di appartenere all’AFC (Alliance Fleuve Congo). Kabila ha ceduto il potere a Tshisekedi nel 2019, un ex avversario proclamato vincitore delle controverse elezioni presidenziali del dicembre 2018.
Tra le persone accusate c’è Corneille Nangaa, leader dell’AFC: è stato riconosciuto colpevole di crimini di guerra, partecipazione a un’insurrezione e tradimento. Nangaa e altri 20 imputati sono stati condannati a morte in contumacia, poiché sono attualmente latitanti. I cinque imputati presenti al processo hanno cinque giorni di tempo per presentare ricorso contro la sentenza.
Nangaa, ex presidente della commissione elettorale della RDC, ha lanciato a dicembre il movimento politico-militare AFC con l’obiettivo di unire gruppi armati, partiti politici e società civile contro il governo. Una delle ramificazioni è il gruppo armato M23, accusato di aver compiuto omicidi di massa nel conflitto decennale nella parte orientale della RDC.
Il presidente Felix Tshisekedi accusa il Ruanda di aver fornito sostegno militare all’M23 guidato dai Tutsi; il M23 ha conquistato dalla fine del 2021 vaste zone di territorio nella RDC orientale.