Riusciranno le potenze occidentali ad abbattere l’orso russo?

di Anceo Agostini

Riusciranno le potenze occidentali ad abbattere l’orso russo? Negli ultimi tempi sui mezzi d’informazione occidentali si fa un gran parlare di ritorno alla “guerra fredda”. I termini della contrapposizione non vengono evidenziati e le vere cause dell’inasprimento dei rapporti sono volutamente taciute e/o distorte. Personalmente ritengo che il comodo paragone sia mistificatorio. Si vuole in questo modo risvegliare lo stereotipo negativo associato nel corso di decenni all’URSS per trasferirlo in toto alla Russia attuale. Ma il paragone non calza per una serie di motivi. La “guerra fredda” si basava sull’esistenza di due blocchi, di due sfere di influenza politica, ideologica ed economica contrapposti. Il blocco comunista era molto esteso e rivestiva un ruolo di riferimento ideologico non solo per molti Paesi sottosviluppati, ma anche per ampie masse popolari in alcune democrazie dell’Europa occidentale.
L’attuale contrapposizione nasce dopo la disintegrazione del blocco comunista, dopo vent’anni di tirocinio “democratico-liberale” e di integrazione nel sistema economico occidentale. Viene reinventata nel momento in cui in Russia inizia il processo di rigetto del ruolo e della collocazione geopolitica assegnatole dai partner occidentali. Ai tempi della Guerra fredda la contrapposizione militare costituiva l’asse dell’equilibrio tra i due blocchi, mentre le economie dei blocchi erano praticamente indipendenti, isolate in compartimenti stagni. Esistevano dei margini di manovra ben definiti per entrambi, fissati a Jalta nel 1945 e ulteriormente precisati in occasione della crisi di Cuba nel 1962. Oggi si constata una contrapposizione in campo economico estremamente sbilanciata, l’assenza di sfere di influenza definite e l’evidenza di uno sforzo della Russia volto a recuperare e difendere la propria sovranità: all’esterno mediante il ristabilimento dell’equilibrio nel campo degli armamenti, all’interno con un consolidamento del sentimento nazionale. Attualmente l’élite russa, priva di un aggregante ideologico, è rappresentata da diversi clan i cui interessi economici, coinvolti in misura diversa nel sistema finanziario globale, non coincidono necessariamente con gli interessi nazionali. In termini approssimativi si può dire che la prima avvisaglia del cambio dell’atmosfera nei rapporti USA-EU/Russia si è manifestata verso la fine della seconda presidenza di Putin ed è coincisa con l’intervento di quest’ultimo alla conferenza di Monaco sulla sicurezza nel febbraio 2007. Nell’agosto 2008 durante l’interregno di Medvedev (2008-2012) le potenze occidentali hanno eseguito un primo test delle reazioni russe appoggiando il tentativo di invasione dell’Ossezia Meridionale da parte della Georgia. Comunque, solamente dopo il ritorno di Vladimir Putin alla presidenza, dopo il colpo di stato in Ucraina contro il filorusso Yanukovich e la conseguente riannessione russa della Crimea gli interventi occidentali contro la Russia acquistano un ritmo sempre più martellante fino a trasformarsi in una guerra ibrida. Le operazioni antirusse americano-europee vengono coordinate su alcune direttrici principali: accerchiamento militare e contenimento delle capacità offensivo-difensive, creazione, addestramento e finanziamento del dissenso e dei gruppi d’opposizione, applicazione di sanzioni mirate a minare l’equilibrio raggiunto tra i vari clan elitari e sanzioni economiche (principalmente contro i settori bancario ed energetico) . Grazie alla ingenua (per usare un eufemismo) politica di “trasparenza” introdotta da Gorbaciov e alla svendita fallimentare dell’URSS organizzata da Elzyn, gli americani hanno avuto accesso a gran parte dei segreti degli armamenti e delle istallazioni militari in Russia allo smantellamento delle quali hanno partecipato in prima persona nell’ambito dei vari accordi di limitazione degli armamenti. Lo scioglimento del Patto di Varsavia ha spalancato le porte (in netto contrasto con gli accordi inizialmente assunti) all’ampliamento della Nato lungo i confini occidentali della Russia. Il processo è iniziato al tramonto della presidenza elzyniana e prosegue a scaglioni fino ai nostri giorni: 1999 – Ungheria, Polonia, Cechia 2004 – Bulgaria, Lettonia, Lituania, Estonia, Romania, Slovacchia, Slovenia 2009 – Albania, Croazia, Montenegro 2020 – Macedonia Settentrionale.
Le nuove acquisizioni Nato hanno consentito di ridurre a soli 700 km la distanza dalla capitale della Russia e di istallare basi missilistiche a ridosso dei suoi confini. Parallelamente all’allargamento della Nato, i governi occidentali, allo scopo di contenere/rallentare lo sviluppo degli armamenti in Russia, hanno progressivamente introdotto sanzioni che interdicono la vendita e la cessione di tecnologie a doppio impiego con possibili applicazioni in campo militare. La lista nera delle società russe con cui non è consentito aver rapporti è in costante aggiornamento. Di fatto è stato riesumato contro la Russia il blocco tecnologico COCOM introdotto nel 1949 contro l’URSS. Allego l’elenco delle sanzioni introdotte in questi anni dai Paesi occidentali perché ritengo che il cittadino medio europeo sia all’oscuro di questa fervida attività svolta dal parlamento europeo. Durante la perestroyka e le presidenze di Elzyn americani e europei hanno formato e istruito un folto gruppo di giovani specialisti russi destinati a ricoprire i posti chiave nei futuri governi e istituzioni del Paese. Sono stati creati istituti e università finanziate da governi e da fondi privati occidentali. Molti giovani liberali e oligarchi russi hanno frequentato appositi corsi di formazione e aggiornamento presso le università americane, inglesi ed europee. Sono state create numerose televisioni, radio, testate giornalistiche private. In Russia si sono prolificate centinaia di ONG e associazioni impegnate in tutte le sfere del sociale, sono state trapiantate innumerevoli sette religiose. L’ordinamento economico russo è stato rivisto con la consulenza, non disinteressata, di illustri economisti occidentali. Alcuni storiografi sostengono che la stessa Costituzione Elzyniana sia stata stilata dietro dettatura di consulenti occidentali. Queste vaste iniziative mirano a creare un ambiente sociale ricettivo per il trapianto dei valori culturali occidentali. In Russia ha fatto molto scalpore la notizia quando nell’estate del 2017 Putin ha dichiarato che, a fronte dell’espulsione dagli USA di 35 dipendenti delle rappresentanze diplomatiche russe (presso USA e ONU), lo staff delle rappresentanze diplomatiche USA in Russia sarebbe stato ridotto di 755 persone per ricondurre a un livello paritario le rispettive presenze nei due Paesi. Fino a quel momento la presenza “diplomatica” americana in Russia ammontava a 1210 persone. La massiccia presenza di “diplomatici”, consulenti, Fondazioni e ONG occidentali supportata da elargizioni e promesse di “aiuti” viene impiegata su larga scala in tutti i Paesi dell’ex Unione Sovietica e ha raggiunto ottimi risultati in Georgia, Ucraina, Moldavia. Basti pensare che nella piccola Armenia il personale “diplomatico” statunitense ammonta a 2500 dipendenti. L’obiettivo è creare intorno alla Russia un cordone sanitario di governi filooccidentali e antirussi. Nei Paesi europei l’isolamento della Russia viene alimentato mediante un crescendo di scandali, recriminazioni, accuse per le quali l’espressione “highly likely” rappresenta il massimo fondamento delle prove. Le fonti da cui i mass media occidentali attingono le informazioni e le corrispondenze “di prima mano” sono sempre più spesso elargite dalle agenzie giornalistiche “indipendenti”, tipo l’inglese Bellingcat, che costruiscono a tavolino, senza uscire dall’ufficio, i propri reportage su indicazione dei servizi di intelligence. Il riferimento alla fonte Bellingcat è diventato sinonimo autenticità. Il modus operandi è analogo a quello del giornalista Claas Relotius del settimanale Der Spiegel ottimamente descritto da Rainews. La grande differenza è che per la Russia non è prevista la facoltà di appello. Nell’opinione pubblica occidentale è stato ricreato per la Russia lo stereotipo del male assoluto. La sensazione dell’orso russo è di essere punzecchiato continuamente da fastidiose zanzare. E la Russia ha impiegato molti anni a rendersi conto di dover reagire. In campo militare la reazione si è trasformata in un riuscito ammodernamento degli armamenti che ha consentito di ribilanciare il rapporto nei confronti della Nato. Si è ripresentata in Medio Oriente in qualità di imprescindibile interlocutore geopolitico. Viene considerata una possibile alleanza militare con la Cina. Il mutamento degli attuali rapporti di forza risulta particolarmente evidente se paragonato al gesto simbolico di protesta del primo ministro Primakov quando nel 1999, raggiunto dalla notizia dei bombardamenti Nato in Iugoslavia, aveva interrotto il volo che lo portava negli USA.
In campo economico la situazione è più complessa a causa del coinvolgimento della Russia nel sistema finanziario occidentale. Le sanzioni USA che hanno congelato i conti di società russe presso le banche americane hanno indotto la Banca Centrale russa a sbarazzarsi quasi completamente delle obbligazioni USA passando negli ultimi sette anni da 170 miliardi di dollari agli attuali 10 miliardi. Le continue minacce di esclusione dal sistema di transazioni interbancarie SWIFT, le sanzioni economiche con i connessi rischi legati all’impiego del dollaro e la fuga degli investimenti occidentali hanno spinto la Russia a consolidare i rapporti di collaborazione con la Cina. Negli interscambi russo-cinesi, dopo i primi risultati raggiunti nella sostituzione del dollaro con le valute nazionali, viene considerata la possibilità di utilizzo delle rispettive valute digitali. Più in generale non è escluso che la Banca Centrale russa si veda costretta ad adottare un sistema di transazioni bancarie alternativo basato sul proprio sistema SPFS oppure sul DCEP (Digital Currency Electronic Payment) gestito dalla Banca Popolare Cinese. Le sanzioni economiche occidentali sembrano non aver ancora raggiunto l’obiettivo di fiaccare l’orso russo. Al contrario le difficoltà avrebbero stimolato lo sviluppo di alcuni settori economici. Tant’è che nel 2020 per la prima volta nella storia la Russia è diventata esportatore netto nel settore agroindustriale, endemico punctum dolens dell’Unione Sovietica. Durante la recente pandemia anche il settore farmaceutico e sanitario russi avrebbero dimostrato un livello di resilienza invidiabile da parte di molti Paesi. Anche per quanto concerne gli sforzi occidentali volti ad innescare un movimento popolare di opposizione sembra che i risultati siano irrilevanti. Tutti i partiti che hanno tentato la scalata elettorale con il bagaglio dei valori neoliberali hanno fallito. La popolarità di Navalny, principale candidato appoggiato dall’occidente unito, nonostante i connotati di martire e perseguitato politico non accenna a decollare. La destabilizzazione arancione porta in piazza poche persone. L’occidente liberale e democratico condanna fermamente le gravi lesioni delle libertà dei cittadini che affliggono la Russia. Nei fatti il Paese è multinazionale (190 etnie in base al censimento del 2010) e multiconfessionale. Per evitare l’insorgere di eccessi e disordini interrazziali e interconfessionali e mantenere un accettabile livello di convivenza e concordia civile nella Costituzione russa sono stati ribaditi alcuni principi fondamentali condivisi e approvati col referendum panrusso del 1 luglio 2020 dalla stragrande maggioranza dei cittadini (77,92%): integrità del Paese, pace civile, tradizioni, famiglia, maternità, libertà religiosa. Nell’ottica di salvaguardare la pace civile, pur riconoscendo agli omosessuali, transessuali e bisessuali il diritto di associazione, non vengono autorizzate pubbliche dimostrazioni di piazza organizzate dalla ILGA. Peraltro, i tentativi di manifestazioni e testimonianze pubbliche da parte delle organizzazioni di queste minoranze soprattutto in Cecenia e in altre repubbliche a maggioranza islamica hanno immancabilmente provocato disordini e reazioni incontrollate. Misure cautelative vengono prese nei confronti di sette religiose e altri gruppi sociali, spesso d’importazione, che vengono obbligati a una registrazione ufficiale. Le numerosissime ONG finanziate da fondi e istituzioni straniere e dal Dipartimento di Stato americano sono obbligate a riportare la dicitura “agente straniero” accanto alla denominazione ufficiale. Bisogna constatare che la società civile in Russia non solo non ha raggiunto il livello di tolleranza e condiviso la scala di valori liberali che da essa pretendono le democrazie occidentali ma è evidente che ne prende le distanze. La propaganda dei valori liberali occidentali viene percepita come una minaccia alla sicurezza nazionale. L’unico campo in cui le potenze occidentali ancora possono confidare di ottenere qualche successo è lo sbilanciamento dei rapporti di forza tra i gruppi di potere. Non è un segreto che molti oligarchi russi e uomini d’affari russi controllano i propri attivi in Russia attraverso società estere. Molti di questi oltre ad aver acquisito la cittadinanza di Paesi occidentali e a mantenere le proprie famiglie all’estero, possiedono società, conti bancari e immobili in Europa, Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada. È nei confronti di costoro che si indirizza la sequela di sanzioni “nominative”: diniego dei visti, congelamento di capitali privati, di società e banche russe. Attraverso queste sanzioni congiunte americani ed europei tentano di convincere la parte liberale dell’élite russa a estromettere Putin e consentire un cambio di rotta nella politica della Russia. Sebbene i gruppi e i personaggi sensibili a questo tipo di pressioni siano numerosi la sfida non è tra le più facili. I poteri forti e l’apparato statale sembrano, nel loro insieme, sufficientemente coesi attorno al presidente e all’attuale politica sovranista. Questa circostanza esercita un potere dissuasivo nei confronti di possibili transfughi. Negli ultimissimi giorni l’accanimento antirusso degli USA, di alcuni paesi europei e di Bruxelles ha raggiunto livelli paranoici. Forse è stato oltrepassato il punto di non ritorno. Dalla politica russofoba concertata da Usa ed Europa è sicuramente sortito un risultato: l’orso russo non è più solo, ha trovato un alleato nel drago cinese. E il rischio per l’Europa è quello di essersi troppo affrettata a vendere la pelle dell’orso
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