Ruanda. Tutti sul carro del vincitore annunciato

di Valentino De Bernardis

Prendere uno dei simulacri della democrazia, quale l’appuntamento elettorale, e quasi silenziosamente svuotarlo del cuore della sua essenza, cioè una fiera ed onesta competizione tra le diverse entità politiche del paese in questione, rappresenta una condizione sufficiente a dichiarare la democrazia in pericolo? Questa è la riflessione che ci troviamo fare sul Ruanda di oggi, in vista delle prossime elezioni presidenziali di agosto, dove il presidente uscente Paul Kagame, al potere dal 1994, si appresta a ottenere l’ennesimo nuovo mandato, senza alcun rischio di sorprese dell’ultimo minuto.
Una competizione elettorale dove alla mancanza di una e vera e propria opposizione organizzata, necessaria a dare una parvenza di credibilità al risultato delle urne, si somma la tendenza della maggioranza dei partiti a salire sul carro del vincitore annunciato. Un preoccupante servilismo politico, propedeutico per poter essere ammessi al banco della spartizione delle cariche istituzionali.
A far rumore con un inaspettato atto di genuflessione politica è stata la decisione del Partito Social Democratico, che sebbene rappresenti la seconda forza parlamentare attualmente in carica, nel congresso straordinario del partito del 3 giugno, ha deciso di rinunciare alla presentazione di un proprio candidato alle presidenziali, a favore del sostegno a Kagame. Decisione seguita nel breve volgere di ventiquattro ore dal Partito Liberale, anch’esso riunito in congresso straordinario il 4 giugno. Unici due partiti che nel 2010 avevano contrapposto dei candidati di valore contro Kagame, raccogliendo però rispettivamente il 5,15% e l’1,37%.
Una resa incondizionata al potere costituito, che indirettamente rischia di essere una resa incondizionata della democrazia nella sua veste di repubblica rappresentativa, ad una sorta di democrazia “dittatoriale” rappresentativa.
Sullo sfondo rimane la comunità internazionale silente, specialmente nella sua componente più attenta al rispetto delle regole democratiche (leggasi Stati Uniti ed Unione Europea). Dopo una eppur lieve alzata di scudi dell’ex amministrazione Obama contro la riforma costituzionale del 2015 che teoricamente potrebbe legare in maniera indissolubile il governo di Kigali alla figura di Kagame fino al 2034, la nuova amministrazione Trump per il momento sembra poco interessata alle vicende interne ai singoli stati nella regione dei laghi africana. Lasciando in qualche modo mano libera a chi ne è in grado di approfittarne.
Mentre per quanto riguarda l’azione diplomatica dell’UE, Bruxelles è ancora troppo occupata a risolvere i propri problemi di carattere politico e economico per avere la forza necessaria ad impegnarsi troppo lontano da casa con una unica voce.
Sullo sfondo di un tale desolante quadro, si intravede la figura di Frank Habineza, leader del Partito Democratico Verde, unica vera opposizione che si presenterà al voto di agosto, senza alcuna possibilità di vittoria. Il raggiungimento di un potenziale 5% delle preferenze sarebbe già un grande risultato, ma lo riuscirebbe ad ottenere solo per gentile concessione dei partiti che attualmente guidano il paese.
Buon voto a tutti i ruandesi.

@debernardisv
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