Russia. Altro che crisi: cresce l’influenza in Africa con l’esportazione del grano

di Giuseppe Gagliano

Di fronte alle previsioni catastrofiche di molti analisti occidentali, che davano per scontato il crollo dell’economia russa sotto il peso delle sanzioni, Mosca ha invece trovato nuovi mercati e consolidato vecchie alleanze, soprattutto in Africa. Il continente, che per decenni è stato il terreno di caccia delle ex potenze coloniali europee, si sta rapidamente trasformando in un’area di dominio economico russo. E i numeri parlano chiaro: nel 2024 la Russia ha esportato in Africa 21,2 milioni di tonnellate di grano, per un valore superiore ai 7 miliardi di dollari. Un aumento del 19% rispetto all’anno precedente, mentre l’Occidente osserva impotente il declino della propria influenza.
L’Egitto è ormai il principale acquirente di cereali russi, seguito da Algeria, Libia, Kenya e Tunisia. In totale, oltre il 50% dell’export cerealicolo russo oggi prende la via dell’Africa. Nel 2024, Mosca ha persino scalzato la Francia dal primato nelle forniture al Marocco, una svolta storica che dimostra il declino di Parigi in un continente che considerava tradizionalmente parte della sua sfera d’influenza.
A questo si aggiunge un aspetto tutt’altro che secondario: non tutto il grano “russo” proviene dalla Russia. Secondo dichiarazioni di funzionari di Mosca, parte del raccolto esportato verso l’Africa proviene dai territori ucraini occupati. La Crimea e le nuove regioni annesse alla Federazione russa, ha dichiarato Georgy Muradov, producono grano, fertilizzanti e prodotti chimici destinati a soddisfare la crescente domanda africana. Una rivelazione che sottolinea come il conflitto in Ucraina non sia solo una guerra militare, ma anche una battaglia per il controllo delle risorse agricole globali.
La penetrazione russa in Africa non si limita al settore agricolo. Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), nel quadriennio 2020-2024, il 21% delle armi importate dai paesi africani è di origine russa. I governi africani vedono in Mosca non solo un fornitore di cibo, ma anche un partner affidabile in termini di sicurezza, a differenza delle potenze occidentali che impongono condizioni politiche e morali sugli armamenti venduti.
Questa combinazione di cibo e sicurezza si è rivelata vincente per il Cremlino, che ha saputo offrire un’alternativa concreta alla dipendenza dai mercati occidentali. Mosca ha donato 200.000 tonnellate di grano a sei paesi africani nel 2023 – tra cui Mali, Repubblica Centrafricana e Zimbabwe – in una mossa che ricorda le strategie di “soft power” usate in passato dagli Stati Uniti. Solo che, questa volta, il vantaggio è tutto per la Russia.
L’avanzata russa in Africa non è solo economica, ma è anche il risultato del fallimento delle strategie occidentali. La Francia in particolare si trova in una crisi diplomatica e strategica senza precedenti: l’espulsione delle truppe francesi da Mali, Burkina Faso e Niger è stata solo la punta dell’iceberg. Il rifiuto crescente della presenza occidentale in Africa si riflette anche nei rapporti commerciali: Parigi non è più la prima scelta per gli approvvigionamenti alimentari e militari.
Mosca al contrario ha saputo approfittare del vuoto lasciato dall’Occidente, costruendo relazioni dirette con i governi africani, spesso senza condizioni politiche o ideologiche. Questo ha reso la Russia un partner più appetibile rispetto agli ex colonizzatori europei, incapaci di offrire alternative competitive.
Mentre gli esperti occidentali preconizzavano il disastro economico russo dopo le sanzioni del 2022, la realtà sul campo racconta un’altra storia. La Russia ha trovato nuovi sbocchi commerciali, ha rafforzato la propria influenza in Africa e ha dimostrato che il proprio modello economico è molto più resiliente di quanto previsto.
Se c’è una lezione da imparare da questa vicenda, è che le potenze occidentali hanno sottovalutato la capacità russa di reinventarsi e consolidare la propria presenza nelle aree più strategiche del pianeta. Oggi, l’Africa guarda sempre meno a Parigi, Bruxelles e Washington, e sempre più a Mosca. E questo, nel lungo termine, potrebbe ridefinire gli equilibri di potere globali.