Russia. Putin chiama 300mila combattenti per il Donbass. Ma molti fuggono

di Guido Kller

Al di là dell’enfatizzazione della stampa occidentale, la “mobilitazione parziale” voluta dal presidente russo Vladimir Putin per la guerra in Ucraina ha portato a proteste, con russi che ai valichi della Georgia e della Finlandia si sono messi in colonna per lasciare il paese; il ministro della Difesa Sergei Shoigu ha ribadito che si tratterà del coinvolgimento di uomini che hanno già combattuto e che hanno dimestichezza con le armi, ma non sono in pochi a fidarsi o a dimostrarsi ansiosi di prendere parte ad una guerra che non condividono.
In realtà i dubbi sono leciti, in quanto quella del Cremlino potrebbe essere solo la prima chiamata alle armi, dal momento che il referendum farlocco avviato nelle regioni del Donbass per annettere i territori alla Russia lascia presagire uno sforzo bellico ben più ampio.
Dichiarando il Donbass e le regioni di Kherson e Zaporizhzhia territorio russo come già avvenuto con la Crimea, Mosca intende difenderlo “con ogni mezzo”, ed appare poco probabile che il già provato esercito ucraino, per quanto armato dall’occidente, possa contrastare l’operazione di Putin. Anche il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha ribadito che “in caso di vittoria del sì ogni attacco al Donbass sarà considerato come un attacco alla Russia”.
I paesi baltici hanno fatto sapere il loro rifiuto a far entrare cittadini russi, mentre la Germania si è detta disponibile per quanto i voli, già esauriti e costretti a transitare causa sanzioni da Dubai o da Istanbul, abbiano assunto prezzi proibitivi. Il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ha sottolineato che “non daremo asilo ai russi. Che si assumano le loro responsabilità e restino a combattere contro Putin!”.
Facendo leva sulla vocazione europea di ospitare chi si sente in pericolo per le opinioni politiche, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha dichiarato al Politico la necessità di un coordinamento fra i paesi Ue volto ad accogliere chi è in fuga, ma non è chiaro quanto la protesta, cioè il dissenso peraltro represso dalle autorità russe, sia forte nel paese. Certo è che se Putin gioca sulla comunicazione, anche l’Ue potrebbe farlo aprendo le porte a quanti più russi possibile, anche senza visto, al fine di dimostrare urbi et orbi che la Russia non è unita attorno al suo leader.
Alcuni centri di reclutamento sarebbero stati dati alle fiamme, ma è anche probabile che tra coloro che hanno ricevuto la cartolina di chiamata in molti si siano già arruolati. I siti degli attivisti per i diritti umani hanno parlato di proteste in diverse città, con oppositori portati via dalla polizia.
La Tass ha riportato di un inasprimento delle pene per i disertori, cioè un decreto presidenziale che prevede da 5 a 10 anni di reclusione per chi non si presenta alla chiamata alle armi, che diventano 15 in caso di reticenza.