di Giuseppe Gagliano –
Il vertice telefonico tra Vladimir Putin e Xi Jinping si è rivelato, ancora una volta, una cartina di tornasole della mutazione in corso nell’ordine internazionale. Il colloquio, ufficialmente finalizzato a riaffermare la robustezza della cooperazione economica tra Russia e Cina, ha avuto in realtà il sapore di una sfida congiunta ai cardini della diplomazia occidentale. I toni misurati delle dichiarazioni ufficiali non sono riusciti a celare l’evidente convergenza strategica tra Mosca e Pechino, fondata su interessi complementari e visioni del mondo sempre più affini. Yury Ushakov, assistente presidenziale russo, ha riferito che l’interscambio commerciale ha toccato i 245 miliardi di dollari, segnando un nuovo record nonostante le “pressioni esterne”, e ha preannunciato un nuovo incontro bilaterale tra i due leader durante il vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, previsto a Tianjin tra il 31 agosto e il 2 settembre.
Ma la reale portata del confronto tra i due capi di Stato va ben oltre il mero consolidamento di scambi commerciali. A dominare l’agenda è stata la situazione mediorientale, in particolare l’escalation militare tra Israele e Iran. Putin e Xi hanno condannato con fermezza le azioni israeliane, bollate come una violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. La comune posizione pacifista — che esclude ogni soluzione militare alla questione nucleare iraniana — si inserisce in un più ampio disegno di delegittimazione del ruolo americano come unico arbitro dei conflitti globali. La proposta di mediazione russa è stata accolta con favore da Xi, che ha lasciato intendere come il sostegno cinese non sia né episodico né simbolico, ma parte di un preciso piano di riposizionamento diplomatico del Sud globale.
Il clima di disallineamento rispetto all’Occidente è emerso con forza anche nel giudizio espresso sul recente G7 canadese. L’incontro, segnato dall’assenza di una dichiarazione congiunta sull’Ucraina e dall’uscita anticipata del presidente statunitense Donald Trump, è stato definito implicitamente da Putin e Xi un’occasione mancata, se non addirittura un fallimento. I due leader non hanno risparmiato commenti ironici sulla partecipazione del presidente ucraino Zelensky, definita con tono canzonatorio come “non il suo viaggio all’estero più riuscito”. Un giudizio che suona come un chiaro avvertimento a Kiev ma anche a quelle cancellerie europee che ancora si ostinano a inseguire l’illusione di una diplomazia sotto tutela atlantica.
L’asse sino-russo punta ora a rafforzarsi anche in vista del vertice BRICS di Rio de Janeiro, dove si discuterà la creazione di una nuova piattaforma di investimenti multilaterali promossa da Mosca per incentivare la cooperazione con il Sud globale. L’obiettivo non dichiarato ma evidente è quello di accelerare il disaccoppiamento dal sistema finanziario occidentale, offrendo ai Paesi emergenti un’alternativa concreta al dollaro, alle sanzioni e alle logiche dell’economia di guerra.
Nel frattempo, Putin ha ribadito la presenza russa nel programma nucleare civile iraniano, sottolineando che oltre 200 tecnici russi operano tuttora nella centrale di Bushehr e che Mosca ha raggiunto un accordo con Israele per garantirne la sicurezza. Una dichiarazione che rivela la duplice postura russa: da un lato alleata di Teheran, dall’altro interlocutore non ostile dello Stato ebraico. Xi, dal canto suo, ha espresso la sua “profonda preoccupazione” per l’aggressione israeliana contro l’Iran durante il vertice di Astana del 18 giugno, segnalando l’intenzione cinese di agire come attore di equilibrio in una regione ormai sull’orlo di una guerra sistemica.
Il dialogo tra Putin e Xi si è concluso con l’intenzione di mantenere un contatto costante nei prossimi giorni, mentre l’aggravarsi della crisi in Medio Oriente rischia di provocare fratture irreversibili negli equilibri internazionali. Dietro la narrativa della cooperazione pacifica e dell’interesse condiviso si cela una realtà molto più inquietante: l’emergere di un bipolarismo globale sempre più netto, nel quale Russia e Cina si presentano come polo alternativo all’egemonia occidentale, proponendo un ordine internazionale “multipolare” ma saldamente controllato da due potenze che non accettano interferenze nei propri cortili di casa.
Nel fondo, questo colloquio a distanza tra Mosca e Pechino segna un nuovo passo verso una diplomazia degli interessi paralleli: strategici, energetici, finanziari e militari. E mentre l’Occidente fatica a ricostruire una leadership coesa, gli “altri” disegnano un mondo dove la cooperazione è la forma elegante della contestazione geopolitica.