Samarani, ‘La Cina, nuovo ago della bilancia politica mondiale?’

'Mao, gigante senza eredi’.

a cura di Gialuca Vivacqua

Alcune settimane fa si è svolto il XX congresso del Pcc, che ha incoronato segretario per la terza volta consecutiva Xi Jinping. Ma più che per il trionfo annunciato del Principe Rosso, esso passerà alla storia per un breve momento drammatico – e insieme emblematico – che ha fatto il giro del mondo: l’espulsione di Hu Jintao, predecessore di Xi alla guida del partito, nel bel mezzo della seduta conclusiva. Hu era seduto proprio di fianco a Xi, che non ha battuto ciglio mentre il collega veniva portato fuori di forza dalla sala dell’assemblea (la Grande Sala del Popolo di Pechino). Testimoni affermano che Hu abbia avuto il tempo di dire qualcosa all’indirizzo del successore prima di essere allontanato: forse, qualche accenno di dissenso prontamente censurato. Cosa ci dicono scene come queste? Che a 46 anni dalla morte di Mao certe dinamiche di potere all’ombra del Grande Dragone Marxista si mantengono immutate? Di sicuro è un fatto che, dopo essere stata l’impero più longevo tra quelli nati nell’antichità, la Cina è oggi il più longevo regime comunista. Logica, quindi, una sua fondamentale tendenza a essere sempre uguale a se stessa; eppure il Paese ha anche cercato di migliorare la sua immagine agli occhi della comunità internazionale, e ha fatto degli sforzi notevoli per modernizzarsi. Della Cina del dopo Mao parliamo con il professor Guido Samarani dell’università di Venezia, grande esperto della storia cinese post-imperiale.

– Professore, com’è cambiato a suo parere il regime comunista cinese da Mao a oggi?
Ritengo sia profondamente cambiato per vari aspetti: è un paese che non punta più sull’autosufficienza (economia, cooperazione, interazione con il mondo esterno, ecc.), che mira a ricoprire un ruolo centrale negli affari mondiali e regionali, socialmente profondamente trasformato, un paese sempre più urbano e sempre meno rurale, ecc. Poi vi sono gli elementi di evidente continuità, rappresentati dalla centralità del Partito comunista cinese (Pcc) e dall’ideologia marxista-leninista “con caratteristiche cinesi”. Anche questi aspetti hanno subito ovviamente dei cambiamenti, un processo di adattamento alle nuove realtà: tuttavia, il ruolo di guida, direzione, controllo, e se necessario di repressione, continua ad essere esercitato pienamente dal Pcc anche attraverso le varie strutture istituzionali ad esso legate in forma sostanzialmente subordinata (il “partito-stato”): il potere statale, le forze armate, le associazioni di massa (sindacato, donne, giovani, ecc.)“.

– Chi è il diadoco di Mao più vicino al padre della patria, e chi il più eretico?
Penso che la figura e personalità di Mao Zedong sia per molti aspetti qualcosa di irripetibile e quindi trovare una personalità, un leader comunista cinese che si possa effettivamente ed in modo credibile accostare al Grande Timoniere sia di fatto impossibile. Il diadoco non può essere, ad esempio, Deng Xiaoping, così diverso per personalità e visione, ma neanche – come è stato più volte proposto – lo stesso Xi Jinping. Certo, esistono elementi di relativa affinità tra Mao e Xi, a cominciare dalla forte personalità di entrambi e dal ruolo oggettivamente dominante che, pur in modi diversi, essi hanno rispettivamente assunto… Tuttavia, Xi Jinping deve la sua ascesa ad una “carriera politica classica”, tipica del dirigente comunista cinese, una carriera che si è sviluppata utilizzando le norme del partito e cambiandole a suo favore; al contrario, Mao ha affermato attraverso gli anni di guerra e di aspra lotta rivoluzionaria la propria supremazia, prima politico-militare e poi ideologica (il Pensiero di Mao Zedong), e quando tale supremazia è stata messa in discussione e criticata, ha usato a fondo il proprio carisma, la propria autorità, per riaffermarla nel suo insieme (vedi ad es ma non solo la Rivoluzione Culturale) anche a costo di stravolgere le stesse strutture dirigenti del Pcc e di mettere radicalmente in discussione il patto di fondo tra se stesso e i suoi più importanti ed autorevoli “compagni d’arme”“.

– Secondo lei quanto la classe dirigente comunista ha ereditato della millenaria mentalità imperiale cinese?
Ogni assimilazione tra esperienza storica dell’Impero e la Cina rivoluzionaria e socialista rischia di condurre a una visione deformata, a identificare una presunta continuità di fondo – imperniata sul nesso tra autoritarismo confuciano e autoritarismo comunista – che presenta molti aspetti discutibili e scivolosi. Tuttavia, mi pare indubbio che alcuni aspetti di tale eredità abbiano preparato a fondo il terreno sotto alcuni punti di vista molto importanti: il paternalismo politico, l’idea secondo cui il popolo è al centro di tutto ma in fondo va guidato ed orientato, l’approccio gerarchico, il ruolo tendenzialmente subordinato al potere dell’autonomia sociale ed intellettuale, ed altri temi ancora. Penso che tali orientamenti si siano ulteriormente rafforzati e consolidati negli ultimi decenni in seguito ad alcuni eventi: la fine dell’Urss nel 1991, l’idea secondo cui era indispensabile evitare gli errori politici alla base della crisi del sistema socialista internazionale nel biennio 1989-91, la convinzione – che si è fatta ancor più forte con Xi Jinping, anche alla luce del crescente peggioramento della situazione internazionale – che l’unico vero modo di evitare una crisi di sistema è di rafforzare il ruolo di direzione e controllo del partito, e ciò può essere possibile solo il partito ricupera un ruolo etico-politico-sociale che ha in parte smarrito (corruzione, ma non solo)“.

– Come definirebbe Xi Jinping e quale potrebbe essere il suo effettivo ruolo nel delicato momento internazionale che stiamo vivendo? 
Ho già cercato di dire che per vari aspetti Xi Jinping mi pare un “perfetto” uomo di apparato anche se probabilmente ha tratto dall’eredità paterna e dalla sua esperienza una sensibilità non scontata né comune per alcune questioni chiave: tra queste, oltre al tema della sicurezza che è diventata centrale nel corso degli anni, annovererei anche quello delle diseguaglianze, un tema concepito come potenziale forte minaccia, se non risolta adeguatamente, alla stabilità politica, e poi quella della percezione della grandezza della Cina, delle sue grandi possibilità e potenzialità, ma non senza rischi, in un mondo sempre più trasformato e caotico. Colgo l’occasione al riguardo per sottolineare una mia personale convinzione, che ovviamente il futuro potrà smentire: nel breve e medio periodo la Cina non ha la capacità – ammesso che lo voglia – di rappresentare una reale alternativa globale agli USA e tantomeno può e potrà rappresentare un “modello” per chi vive in Europa e ha alle sue spalle esperienze e valori radicalmente diversi. Del resto, non è proprio Pechino che da tempo, spesso inascoltata o non creduta, ribadisce che ogni paese ha il diritto di percorrere un proprio percorso verso la crescita, il benessere, l’armonia esistenziale?“.