Santa Sede. Il cardinal Becciu e altri 9 a processo: soldi per la carità del papa a amici e parenti

di Enrico Oliari

Dopo la citazione in giudizio del promotore di Giustizia Gian Piero Milano, dell’aggiunto Alessandro Diddi e dell’applicato Gianluca Perone, si apriranno in Vaticano il prossimo 27 luglio le fasi processuali per lo scandalo della compravendita di un immobile nel centro di Londra, in realtà una truffa, che ha aperto un buco da 200 milioni di euro nelle finanze vaticane. Al contrario di quanto ha riportato parte della stampa, non sarebbe stato intaccato l’Obolo di San Pietro, la colletta per il papa dei fedeli di tutto il mondo che rappresenta il 6% del budget, tuttavia il denaro sarebbe arrivato in parte da un ulteriore 3% che rappresenta una cassa speciale a disposizione del papa per le emergenze e le opere di carità. Entrambi i fondi, fino ad allora gestiti dalla Segreteria di Stato, sono stati portati lo scorso agosto da papa Francesco sotto il controllo dell’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica proprio per avere una maggior chiarezza sui giri di denaro, ed infatti lo scandalo in questione è partito dalla Segreteria di Stato. Era stato il numero due di questa istituzione, il cardinal Giovanni Angelo Becciu, a disporre l’acquisto dell’immobile al centro della capitale britannica, ma è lunga la lista di prelati, faccendieri laici e uomini dell’alta finanza internazionale accusati di aver compiuto, anche in concorso, svariati reati.
Fino ad una decisione autonoma del papa dello scorso anno, un “motu propriu” che ha tolto in materia di giustizia alcuni privilegi ai porporati, cardinali e vescovi avevano i diritto di essere giudicati solo da parigrado in Cassazione; Becciu, che è accusato di peculato, abuso d’ufficio, interessi privati in atti d’ufficio e offesa al re, potrà quindi essere processato dalla giustizia ordinaria, dopo il via libera del papa. Con Becciu finirà a processo anche il suo ex segretario monsignor Mauro Carlino, accusato di estorsione e abuso d’ufficio; Tommaso Di Ruzza, già a capo dell’Autorità di supervisione finanziaria della Santa Sede; l’ex presidente del medesimo istituto René Brulhart; un funzionario della segreteria di Stato, Stefano Fabrizio Tirabassi, Enrico Crasso, ex gestore delle finanze vaticane; Nicola Squillace, avvocato; i finanzieri Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi; Cecilia Marogna, donna di fiducia di Becciu, accusata di peculato. I giudici saranno chiamati anche a decidere su quattro società, tre che fanno capo a Crasso ed una a Marogna.
Nell’atto di citazione si legge che le indagini della Gendarmeria vaticana, coadiuvate dalla Guardia di Finanza di Roma, hanno fatto emergere attività finanziarie volte ad “attingere alle risorse economiche della Santa Sede, spesso senza alcuna considerazione delle finalità e dell’indole della realtà ecclesiale”, ovvero “un intreccio, quasi inestricabile, tra persone fisiche e giuridiche; fondi di investimento; titoli finanziari (quotati e non); banche e istituti di credito di varia tipologia”.
Gli inquirenti, che hanno trovato aiuto nelle indagini dalla collaborazione di monsignor Alberto Perlasca, hanno appurato che il faccendiere italo-svizzero Mincione avrebbe fatto acquistare alla Santa Sede il palazzo di Londra ad un prezzo di quasi il doppio di quello stimato poco prima ottenendo “un ingiusto profitto con danno per la Segreteria di Stato per un importo complessivo di 78,9 milioni di euro”. Denaro fatto partire da Becciu, stando alle accuse, il quale avrebbe distribuito soldi della Santa Sede a collaboratori e parenti, nella fattispecie 225mila euro alla cooperativa gestita dal fratello Antonino, ed ancora alla ditta del fratello Francesco per il rifacimento degli infissi della nunziatura apostolica in Egitto e per “lavori svolti nell’Arcidiocesi di Luanda, in Angola”.
Marogna, che certa stampa ha definito “Lady Bacciu”, ma il cui avvocato ha precisato esistessero rapporti solo istituzionali, avrebbe ricevuto ingenti somme di denaro sul conto della sua Logistic Doo, soldi che, stando alle accuse, sarebbero stati usati per spese personali.
Gli inquirenti hanno anche elementi che dimostrerebbero di come gli accusati erano stati informati delle intercettazioni e delle indagini in corso.