Senegal. A tu per tu con un passeur

di Lucia Michelini *

Sopra il tavolo della veranda un libro di scuola “È di mia figlia, sono i compiti per casa di matematica. Non è molto forte in questa materia”, sospira poco soddisfatto Kalapo, nome fittizio.
Dietro al tavolo una lavatrice, marca europea. Da quando sono in Senegal è una delle prime che vedo.
Sono a Rufisque, sobborgo sovrappopolato di Dakar.
“Da qua organizziamo i viaggi via piroga per la Spagna e con qua intendo da questa casa. Dove sei tu ora”.
Sembra surreale essere a casa di una persona dall’aria così socievole e serena, con le sue giovani figlie che vengono a presentarsi, la moglie altrettanto cordiale, e sapere che da qua si riempiono le liste.
Polo azzurra Ralph Lauren, modi educati. “Quando una lista è al completo – spiega – mi muovo e organizzo la piroga. Per farlo aspetto di avere 83 candidati. Non uno di più, non uno di meno. Uomini, donne, bambini. Li porto tutti in Europa. Ma i miei viaggi sono sicuri, le mie piroghe sono nuove o comunque in ottimo stato. Le scelgo accuratamente e mi assicuro che il ponte di prua sia abbastanza forte per sopportare le onde dell’oceano. Io sono un lebou (gruppo etnico senegalese dedito alla pesca, ndr.), ho l’oceano nel sangue, il mare per me non ha segreti e, essendo carpentiere, so cosa cerco”.
Le piroghe artigianali usate per la traversata sono lunghe 22 metri e costruite in legno. Si usa principalmente il bois rouge, il legno rosso del Camerun, che è resistente, forte, adatto al contesto nautico.
Quando Kalapo arriva al numero richiesto di potenziali viaggiatori avvia la macchina organizzativa. “Io mi occupo della scelta della piroga, ma non lavoro da solo. Nel mio gruppo c’è chi si occupa del rifornimento di acqua (servono almeno 200 bidoni da 20 litri), cibo (riso, spaghetti, latte, tè), tabacco, ma carichiamo anche 200 metri di corda, un’ancora, qualche farmaco, carbone per cucinare e riscaldarsi. Inoltre le mie barche sono tutte dotate di GPS, modello Garmin 12, il migliore”.
Per le piroghe che partono dal Gambia servono almeno dodici giorni di traversata per arrivare in territorio spagnolo e Kalapo dota le imbarcazioni con una provvista di carburante che basti almeno per quindici giorni. “Parlo di Gambia perché da Dakar non si può più partire. Ci sono troppi controlli e se ti beccano rischi anche cinque anni di carcere. Quindi al momento opportuno fissiamo un giorno che è comunicato ai migranti sotto forma di codice e a questo segnale si recano a Barra, da dove inizia la traversata. Dal Gambia è facilissimo partire, basta attrezzare la piroga, far montare la gente, col buio. Grazie alla complicità della notte non si corre nessun rischio”.

(Foto: Lucia Michelini).

“Quando Dakar era ancora poco sorvegliata – continua Kalapo -, li facevamo partire da qua”, indica la spiaggia di Rufisque “e accompagnavamo i migranti da casa mia all’imbarcazione su un calesse, per attirare meno l’attenzione. A persona chiedo 500mila CFA (760 euro), ma per lo scafista non chiedo nulla e gli regalo due posti che può utilizzare per chi vuole. Insieme a loro mi assicuro che ci sia un buon equipaggio, il capitano e un comandante in seconda, entrambi pagati. Del totale mi rimane solo una parte chiaramente”, tira fuori la calcolatrice, “83 posti moltiplicato per 500mila CFA, sono 41.500.000 CFA (circa 63 mila euro) e con questi soldi devo comprare tutto, i due motori, l’imbarcazione, la merce, e poi si deve considerare che la piroga mica torna indietro”. Questi gli introiti di un solo viaggio, snocciolati ad alta voce senza alcun pudore.
“Andiamo, vi mostro come è fatta una piroga”. Lungo la strada che porta al suo cantiere passiamo attraverso un borgo pieno di rifiuti, l’odore dell’aria è a tratti nauseante e alla luce dei rari lampioni accesi si intravvedono neri nugoli di zanzare. I passanti salutano Kalapo, gli stringono la mano. Sembra di passeggiare al fianco di una star e in Senegal probabilmente è così; chi fa la cresta sulla pelle della gente viene purtroppo confuso per una persona generosa, caritatevole.
A pochi metri dalla riva, arenata quasi come fosse una balena in fin di vita, una ventidue metri usata per le tratte, in riparazione. Vicino ad un’imbarcazione di questo tipo ci si sente piccoli ma, nonostante le dimensioni enormi, rimane inevitabile chiedersi come facciano ad entrarvici novanta persone.
Come mai si trova qua, una piroga che dovrebbe salpare dalle coste del Gambia? “Poniti la domanda e datti una risposta”, mi ha detto un giorno un’amica.
“Pure io sono partito come migrante clandestino”, racconta Kalapo spontaneamente. “Era il 2006 e al tempo ero l’unico da Rufisque a voler partire. Tutti mi dicevano che ero matto a voler fare una cosa così rischiosa, ma un giorno ho salutato mia moglie che si trovava in sala operatoria, le avevano appena fatto il cesareo, ho lanciato un’occhiata al volto di nostra figlia e me ne sono andato. Non è stato facile rimanere in Spagna senza neanche sapere come si chiamasse la bambina. Dopo qualche anno ho deciso di tornare, ma non volevo più fare il carpentiere. I soldi che porti a casa con quel mestiere non bastano mai, così ho deciso di creare un gruppo per l’emigrazione, in modo tale da provvedere alla mia famiglia”

“La gente si rivolge a me perché permettersi un visto all’ambasciata è troppo costoso, ti chiedono anche 4 milioni di CFA (6 mila euro), io ne chiedo solo 500mila”. Sembra di parlare con un buon samaritano, il dialogo è assurdo. Kalapo, quando parla, ha la voce calma di un assassino.
“Dal Senegal c’è tantissima gente che vuole partire. A volte facciamo salpare delle piroghe anche ogni due settimane”. Nel paese non sono state attivate politiche mirate in grado di fissare i giovani al loro territorio e fra le nuove generazioni si è diffuso a macchia d’olio il modo di dire “Barça ou Barsakh”, ovvero “Barcellona o la morte” (barsakh in arabo significa aldilà). Raggiungere l’Europa o morire.
Finita l’intervista Kalapo mi congeda con la speranza di una collaborazione futura. “Un giorno mi piacerebbe fare un documentario, devo trovare il partner giusto che sia disposto a collaborare con me. Mostrare con dei video come lavoro, dalla preparazione delle liste con i nomi, alla partenza. Credo che in Europa si venderebbe bene”.

* Lucia Michelini, originaria di Belluno, classe 1984. Dottoressa di ricerca presso l’Università di Padova, si occupa principalmente di cooperazione allo sviluppo ed educazione. Attualmente si trova in Senegal dove segue un progetto europeo sulla lotta ai cambiamenti climatici e all’insicurezza alimentare.