Senegal. Sovranisti di sinistra, le 4 sfide

di Francesco Giappichini

In occasione del 64mo anniversario dell’indipendenza del Senegal, il presidente Bassirou Diomaye Faye ha delineato i quattro principali obiettivi del mandato quinquennale. Tutte sfide che affronterà insieme al mentore e compagno di partito, il neo primo ministro Ousmane Sonko. Lotta all’inflazione, creazione di tanti nuovi posti di lavoro, riforme istituzionali, e controllo delle compagnie estrattive, poiché le risorse minerarie «appartengono al popolo»: saranno questi i punti cardinali del sovranismo di sinistra, in salsa africana. Obiettivi, va detto, per nulla velleitari, ma ampiamente alla portata della dirigenza del partito Pastef (Patriotes africains du Sénégal pour le travail, l’éthique et la fraternité).
Il neopresidente ha per ora evitato di puntare troppo in alto: non ha accennato a una diversa collocazione strategica, nonostante i timori occidentali per un’adesione al fronte filorusso, né a un’imminente rivoluzione monetaria, innescata dall’abbandono del franc Cfa (Communauté financière en Afrique). Anzi, i maggiori problemi potrebbero nascere all’interno della stessa classe dirigente. Come rileva Ogo Seck, docente di Scienze politiche all’Université Gaston-Berger, «il ne peut pas y avoir deux coqs dans le même poulailler». E «non possono esserci due galli nello stesso pollaio» senegalese, non solo in virtù dell’anomala designazione di un presidente (Faye), da parte di un leader messianico ma interdetto (Sonko), che ha dovuto ripiegare sul ruolo di premier; ma anche perché la forma di governo senegalese è presidenziale tout court, e il primo ministro è de iure un mero sottoposto del presidente.
Beninteso, Faye ha anche rispolverato slogan panafricanisti, e invocato un’area di libero scambio africana, nel quadro di «una governance globale più giusta e inclusiva». E tuttavia sono apparse altre le sue priorità. A cominciare, come accennato, dal contrasto all’inflazione: il Paese, un po’ per la valuta in certa misura garantita, un po’ per il boom immobilier di cui ormai trattano anche i media mainstream, ha un costo della vita molto elevato, rispetto agli standard africani. Il che, peraltro, limita certi investimenti di avventurieri e faccendieri stranieri, tanto comuni in gran parte del Continente. Secondo punto, la lotta alla disoccupazione, specie giovanile, in una Nazione ove tre quarti della popolazione ha meno di 35 anni.
La terza sfida indicata da Faye, quella che ha maggiormente stuzzicato l’interesse mediatico, è l’instaurazione di «una democrazia rafforzata». Al di là dei toni populisti, si punta a qualcosa di più di una mera riforma istituzionale. Faye non ha parlato solo di trasparenza nella vita pubblica, buongoverno nelle politiche economiche, lotta alla corruzione, protezione degli whistleblower, e riforma di giustizia e legge elettorale. Ha fatto cenno anche a una revisione delle norme sui partiti (e sui loro finanziamenti), e soprattutto ha assicurato che ogni maggiorenne sarà automaticamente iscritto nelle liste elettorali. Una misura, quest’ultima, essenziale, per una rappresentanza effettiva delle istituzioni elettive. Quarto obiettivo prioritario, una sorta di anagrafe delle società minerarie, affinché se ne conosca proprietà effettiva e stato delle finanze. Al riguardo va rammentato che il primo impianto petrolifero offshore del Senegal inizierà la produzione a metà di quest’anno: il «projet Sangomar», gestito dalla società australiana Woodside energy, produrrà circa 100mila barili di petrolio al giorno.